A ben vedere non è malizioso, né gratuito il titolo sensazionalista del nuovo libro su Papa Bergoglio, scritto da Diego Siragusa, filosofo per formazione, osservatore documentato e tagliente della politica internazionale: “Papa Francesco marxista?”. Stessa avvertenza per la controcopertina scritta dall’editore Zambon, che rimarca la brusca contraddizione tra il freddo volto burocratico e conformista attribuito al Pontefice da taluni osservatori in Argentina e il benevolo sorriso che illumina il suo ritratto romano fin dal primo affacciarsi dalla finestra aperta sulla folla di piazza San Pietro. Francesco mostra una personalità complessa e non si limita a denunciare le malattie del mondo, si impegna a curarle. Più d’uno non glielo perdona.
Tante controverse etichette, del resto, c’è da credere che possano infastidirlo ma di sicuro non lo sorprendono. Il risanamento della Chiesa a cui Bergoglio è stato chiamato con l’urgenza d’un intervento da terapia intensiva (le dimissioni di Benedetto XVI non sono state un semplice gesto di stanchezza), rianima la massa dei fedeli nel mondo intero; tuttavia non basta a frenare la continua guerriglia che gli oppongono -dentro e attorno alla Chiesa- i non pochi rentier del tradizionalismo cattolico, più ancora che i suoi ultrà. Lasciando comunque della loro idea (semmai si fosse proposto di correggerla) i critici più canonici di sponda marxista. I quali indicano nell’ interclassismo di questo Papa la prova provata che la sua è un’utopia velleitariamente conciliatrice.
Il vero tema di Siragusa -va chiarito-, sta nel sottotitolo: “Innovazione e continuità nella dottrina sociale della Chiesa”. Il libro lo svolge senza censure e con un certo equilibrio. Sforzandosi anche di documentare opposti punti di vista sull’intimo carattere della persona, capace di alternare grande riservatezza ad altrettanta estroversione. La cui attuale azione concreta, in ogni caso, risulta dirompente al punto di aver catalizzato l’attenzione e spesso lo stupore del mondo. L’unica cosa che infatti è possibile affermare senza tema di smentita, è che questo Pontefice (“facitore di ponti” dice l’etimologia della parola) ha affrontato i nodi della crisi che attanaglia l’intero Occidente con una lucidità e un’energia senza precedenti nella storia della Chiesa dal secolo scorso a oggi.
Non meno certo, lascia intendere l’autore, è che Francesco neppure tenta di scalfire la compattezza dei dogmi; e sostanzialmente immutata lascia la liturgia. Se ne trae che le frequenti, scomposte grida all’eresia sono perciò solo il frutto di un’esagitazione in mala fede, l’aspetto più scalmanato di un’altrimenti indicibile difesa di situazioni spesso illegittime, talvolta illegali, rese arcaiche e -queste sì- scandalose dalla scelta di assoluta austerità personale compiuta da Bergoglio subito dopo essere stato eletto al soglio di San Pietro. Gli attacchi alla “Evangelii Gaudium”, alla sua contrarietà all’economia finanziarizzata che accentua le ingiustizie sociali, non sono estranei -per esempio- agli interessi colpiti dalla riforma pur insufficiente della banca centrale vaticana, il già famigerato IOR, voluta da Francesco.
Dell’esortazione apostolica che rifiuta il neo-liberismo globalizzante, “PAPA FRANCESCO, MARXISTA?” riporta brani significativi ed estesi, meritevoli di essere riletti e meditati. Così come prima di confutarle puntualmente, riferisce le rampogne per il peccato di secolarismo rivolte a Francesco dal liberale e liberista Marcello Pera, ex presidente del Senato e parlamentare della berlusconiana Forza Italia. Lo sforzo documentario è evidente lungo tutte le quasi 250 pagine del libro. Non solo per disinnescare buona parte degli attacchi al Papa, esponendo bensì -in nome della completezza d’informazione- anche le accuse a lui rivolte di cripto-peronismo e sia pur occasionale collusione con la sanguinaria dittatura militare argentina degli anni 1976-83.
Quest’ultima evidentemente non è solo politica, né lieve. Riferisce della doppiezza con cui Bergoglio, allora Provinciale dei gesuiti d’Argentina, cioè loro capo e responsabile, avrebbe trattato in circostanze drammatiche con i generali golpisti la sicurezza personale e infine la vita di sacerdoti a lui affidati. Il fatto che quelle circostanze rimangano per più d’un aspetto controverse non esaurisce la vicenda, parte di un periodo che in Argentina non appare ancora chiarito fino in fondo e concluso. E che rimanda a una storia nazionale di privilegi per pochi e sfruttamento dei più, difesi con cospirazioni e violenze che hanno generato a loro volta la ricerca d’impercorribili scorciatoie e ingannevoli utopie.
All’origine di tutto c’è l’interventismo militare, che fin dall’Ottocento in America Latina ha impedito la nascita di borghesie nazionali capaci di liquidare le oligarchie feudali del post-colonialismo e dirigere processi di sviluppo nei rispettivi paesi. Gli eserciti hanno sempre represso nel sangue i diritti dei più deboli. In Argentina il peronismo nasce da un duplice colpo di stato (1943-45) e viene decapitato da un terzo (1955). Negli anni Settanta del secolo scorso, dopo ulteriori golpes che feriscono a morte il sistema democratico, il peronismo implode in uno scontro senza quartiere tra le sue tendenze socialiste e quelle conservatrici-reazionarie, con i militari che una volta ancora ne approfittano per imporre il lugubre potere delle caserme, in beneficio dell’establishment e proprio.
Nelle “Venti verità del Peronismo”, carta magna del Movimento (17.10.1950), l’ottava dichiara che “Nell’azione politica al primo posto c’è la Patria, poi il Movimento, quindi gli uomini”; la ventesima che “Su questa terra il meglio che abbiamo è il popolo”. Se l’opzione per i poveri della dottrina sociale della Chiesa è più che compatibile con quest’ultima, Francesco non sembra però seguire l’ordine di valori della precedente. Il suo presunto peronismo risale del resto alla frequentazione in gioventù (oltre 60 anni fa…) di un gruppo ultra-nazionalista. Il persistere del protagonismo peronista nella vita accidentatissima del suo paese l’avrà poi indotto a più d’una riflessione. Almeno tanto quanto la polarizzazione socio-economica. Ma che “disoccupazione, fame e paura sono i mattoni con cui vengono costruite le dittature”, l’ha detto per primo Franklin Delano Roosevelt, non Peron o Bergoglio.
Dalle varie, per lo più rapide escursioni del libro sulla storia contemporanea latinoamericana, si comprende come pur essendosene tenuto a cauta distanza, questo Papa ha posto fine all’attiva avversione della Santa Sede nei confronti della Teologia della Liberazione. E in effetti ha abbracciato alla luce del sole il peruviano Gustavo Gutierrez, forse il primo anche se tra i meno conflittivi degli autori. Quella a Bergoglio più affine risulta essere la Teologia del popolo, formulata dai sacerdoti Rafael Tello e Lucio Gera, per molti anni docenti della UCA, l’università dei gesuiti a Buenos Aires. Tello, considerato un tomista aperto, sebbene attento a non identificarsi con ideologie politiche per evitare i rischi di scontrarsi con la gerarchia, conosceva Bergoglio da quando aveva 17 anni e non era neppure del tutto certo che avrebbe scelto il sacerdozio.
Ormai deceduti da alcuni anni, Tello e Gera furono attivi nel rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II e alla storica Conferenza episcopale di Medellin nel 1968, rivendicando sempre l’emancipazione umana e sociale dei lavoratori come missione centrale della Chiesa. E Diego Siragusa chiude il libro con le risposte di Francesco a imprenditori, dipendenti e sindacalisti dell’ILVA di Genova, nel maggio scorso. Disse, tra l’altro, il Papa: Il lavoro, massima dignità e priorità dell’essere umano, oggi è a rischio (…); una malattia dell’economia è la progressiva trasformazione degli imprenditori in speculatori, l’imprenditore non deve confondersi con lo speculatore: i campi, il mare, le fabbriche sono sempre stati altari di opere belle e pure come preghiere. Oltre l’ovvia interlocuzione storica con le culture contemporanee, il marxismo non sembra entrarci molto.
LIVIO ZANOTTI da Articolo 21.