Il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Nunzia Catalfo ha firmato il decreto ministeriale, concertato con i Comuni, che definisce l’attivazione dei lavori di pubblica utilità che i beneficiari di Reddito di cittadinanza dovranno effettuare presso il Comune di residenza. “E’ un atto importante nel percorso di costruzione di un moderno sistema di welfare state che rinsalda il patto tra Stato e cittadino”, ha scritto la ministra su Facebook.
Con questo atto i Comuni interessati avranno la possibilità di avviare la progettazione e definire le attività che i beneficiari del Reddito andranno a svolgere. Il Comune è quindi il titolare dei Progetti Utili alla Comunità e può avvalersi della collaborazione di enti del Terzo settore o di altri enti pubblici. I Puc possono essere svolti in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, contribuendo “alla costruzione di una comunità migliore“.
Il decreto delinea inoltre i confini delle attività che possono essere realizzate: i percettori di Reddito, infatti, “non possono svolgere attività in sostituzione di personale dipendente dall’ente pubblico proponente o dall’ente gestore nel caso di esternalizzazione di servizi o dal soggetto del privato sociale”; “non possono altresì ricoprire ruoli o posizioni nell’organizzazione del soggetto proponente il progetto e non possono sostituire lavoratori assenti a causa di malattia, congedi parentali, ferie ed altri istituti, né possono essere utilizzati per sopperire a temporanee esigenze di organico in determinati periodi di particolare intensità di lavoro”.
Solo 50mila persone su 700mila hanno firmato il patto per l’occupazione. Numeri che sono giunti al ministero del Welfare dalle Regioni e che smorzano in parte l’entusiasmo della Catalfo. Di fatto, la cosiddetta “fase 2” del Reddito di cittadinanza, riporta Repubblica, si è incagliata sulla parziale attivazione al lavoro. A quasi sette mesi dal primo assegno, solo 200mila “occupabili” sono stati contattati dai centri per l’impiego e di questi, 70mila hanno sostenuto almeno un primo colloquio. Ma solo 50mila hanno sottoscritto il patto per il lavoro: il 7% degli aventi diritto. Se rifiuteranno le tre proposte di lavoro previste, vedranno decadere il loro diritto al Reddito.