Il Noma non riapre ma inaugura, temporaneamente, un Wine Bar con una proposta decisamente inaspettata: hamburger e snack. «È un hamburger abbastanza classico», commenta lo chef René Redzepi «Usiamo i migliori ingredienti e tutto è cucinato e tagliato in modo espresso. Poi abbiamo il garum di manzo che aggiungiamo all’hamburger e alla salsa. Più intenso e umami».
Renè Redzepi, chef iconico e geniale, con il suo Noma che per anni ha cavalcato la classifica della World’s 50 Best Restaurants, si ritorva quindi, dopo il lockdow, ad organizzare una brigata che «sforna panini».
Da esclusivissimo passa al popolare. Ma perché uno dei ristoranti più iconici del globo sostituisce innovazione e avanguardia con lo street food (di qualità)?
Era da poco iniziato il lockdown quando il famoso chef danese si domandava cosa fare del suo Noma e di quanto avrebbe influito tutto questo sui prezzi e sull’asset generale delle persone. Ma perché uno chef diventato famoso con un germano o una formica passa al cheeseburger? Solidarietà, marketing o semplice resilienza?
«Il wine bar non si sostituisce assolutamente al Noma», commenta Riccardo Canella stacanovista head chef del Noma. «È una cosa che abbiamo organizzato per permettere alle persone di Copenaghen di venire a bere un bicchiere di vino, mangiando qualcosa, godendo dei bellissimi spazi aperti che abbiamo. I prezzi del Noma non sono accessibili a tutti, mentre questo è un modo di dare la possibilità a chiunque di venirci a trovare in questo periodo particolare. Un’idea per far ricircolare le energie in città e far ripartire i motori. Insomma è un modo per stare vicino al popolo danese e dirgli noi ci siamo».
Così mentre il Noma – che ha il 95% della clientela straniera – resta chiuso aspettando la riapertura del turismo, lo staff si dedica ai concittadini con un propotto facile e popolare ma in «stile Noma». «Il nostro cheeseburger è con il garum di manzo – uno dei nostri cavalli di battaglia, tra le prime fermentazioni su cui il Noma ha lavorato – per condire sia la carne che la salsa. Poi ci sono i sottaceti che prepariamo noi, i capperi di aglio orsino, i fiori di porro sotto sale e del buon formaggio biologico. È un hamburger del Noma, ha un tocco speciale, ma non l’abbiamo pensato per sentirci dire che sia il panino più buono del mondo, in questo momento è irrilevante», commenta Riccardo Canella.
Un modo anche per tenere impegnato parte dello staff. La brigata di cucina del Noma contava 60 persone in totale prima del lockdown tra assunti e stagisti. Nessuno è stato licenziato e 10 di loro si dedicano al wine bar, mentre il resto continua a ricevere il sostegno dallo Stato.
E nel frattempo si pianifica la riorganizzazione del Noma dopo il lockdown, che riaprirà con tavoli ancora più distanziati, con un solo servizio a cena e un nuovo menù. «Non puoi pensare di aprire ed avere tutto pieno. Devi fare delle scelte accurate e queste hanno bisogno di tempo, infatti abbiamo continuato a lavorare ininterrottamente anche durante la chiusura», dice Canella.
«Noi non vogliamo modificare il nostro modo di cucinare, il nostro approccio alla creatività e il nostro essere “avanguardia”. Continueremo a fare tutto quello che abbiamo sempre fatto. Dobbiamo solo capire, però, che nei prossimi mesi, la nostra clientela, cambierà un po’. È possibile che per il prossimo anno la gente si sposti molto meno. Avere una clientela straniera è stato un processo naturale per il Noma, non certo dettato dal fatto che abbiamo deciso di snobbare tutto il resto. Però, in questo momento, dobbiamo tornare indietro partendo da quello che è accanto a noi e dalla nostra comunità».