Non un punto d’arrivo, ma uno di partenza. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, da esponente del Movimento 5 Stelle, che più di ogni altra forza ha sostenuto la riforma con il taglio dei parlamentari votata con il referendum, è il primo a festeggiare, ma anche il primo a dire che la diminuzione dei numeri non può essere il risultato finale. Da qui deve venire altro.
Cosa? Il taglio dei compensi e una riforma della legge elettorale. Prima però deve essere operativo quanto votato con il referendum, cioè la modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione.
I deputati passano da 630 a 400, i senatori da 315 a 200, numeri in linea con quelli degli altri parlamenti europei. Il taglio è del 36,5%. A Montecitorio c’è ora deputato ogni 96 mila abitanti, dopo ce ne sarà uno per 151 mila. Al Senato da un senatore ogni 188 mila abitanti, si passa a uno ogni 302 mila.
Ci vorranno 60 giorni perché funzioni il nuovo sistema con i collegi elettorali ridisegnati, questione direttamente collegata con la nuova legge per eleggere il parlamento che verrà. All’esame della Camera c’è ora un testo, definito Germanicum, che prevede un ritorno al sistema proporzionale con uno sbarramento al cinque per cento. Per le formazioni più piccole ci sarebbe il diritto di tribuna, cioè una forma di rappresentanza anche se non superano la soglia del 5%.
L’attuale Parlamento, con tutti i suoi eletti, non perde legittimità. Nessuno resta a casa nonostante, dalla Lega in particolare, sia venuta la richiesta di un immediato scioglimento delle Camere e la nascita di un nuovo Parlamento. Se non ci saranno elezioni anticipate non entrerà in vigore prima della prossima legislatura nel 2023.
Il risparmio atteso è dunque lontano da venire. Con il taglio dei parlamenti dovrebbe esserci un risparmio annuo di 53 milioni alla Camera e di 29 milioni al Senato. L’Osservatorio sui conti pubblici diretto da Carlo Cottarelli ridimensiona queste cifre: 37 milioni per la Camera e 27 per il Senato. Proprio per aumentare i risparmi è già partita la richiesta del taglio del compenso dei parlamentari, vessillo del fronte del No che lo considerava più utile rispetto alla diminuzione del numero degli eletti con una limitazione della rappresentanza della popolazione.
Il taglio nella rappresentanza varia da regione a regione. Per la Camera è fra il 30 e il 40%. Al Senato, eletto su base regionale in alcuni casi supera il 50%. Da sette senatori, minimo, per regione si passa a tre come numero minimo possibile con l’esclusione di Molise e Valle d’Aosta che ne hanno 2 e 1.
L’affluenza definitiva al voto per il referendum costituzionale è stata del 53,84% alla chiusura dei seggi. Il risultato finale ha visto il Sì trionfare con quasi il 70% dei voti, i risultati non sono però omogenei sull’Italia. I Sì sono stati più al Sud che al Nord, più nelle periferie che nei centri cittadini. L’andamento del voto per il referendum per il taglio dei parlamentari a Roma, Milano e Torino è in linea con il dato nazionale, ma nei quartieri dei centri storici, dove prevale il centrosinistra, la vittoria è andata al No.