«Lo dico senza giri di parole: avete fatto un lavoro straordinario ed è giusto rendervi merito. Mai il Parlamento italiano in 70 anni di storia aveva lavorato così tanto e così intensamente. E nessun Paese europeo ha mai fatto – tutte insieme – così tante riforme». Come ogni generale che si rispetti, anche Matteo Renzi ogni tanto deve lanciarsi in una buona arringa al suo esercito, rimproverandolo per le sue mancanze o, quando si presenta l’occasione, lodandolo per i suoi adempimenti. Questo è il secondo caso, quello dei complimenti e delle strette di mano entusiaste.
Attraverso i capigruppo della Camera e del Senato, il premier ha raggiunto i parlamentari della maggioranza attraverso una lettera in cui annuncia che è tempo di vacanze, e che si tratta di vacanze ben meritate: «Sì, meritata. Perché se vi voltate un attimo indietro e provate a ripercorrere il cammino di questo anno, resterete stupiti pensando alle cose che abbiamo portato a casa». Poi accenna alle riforme e al lungo cammino che il Parlamento ha compiuto per arrivarci, riferendosi naturalmente a quella sulla scuola, sulla legge elettorale, al Jobs Act passando per la riforma della pubblica amministrazione. In mezzo, anche l’elezione del Presidente della Repubblica, un momento di grande tensione per tutti, parlamentari o meno: «Se quello era un esame di maturità, il Parlamento lo ha superato con la lode». E naturalmente, uno sguardo al cammino ancora da percorrere: perché se agosto è tempo di vacanze, settembre è comunque dietro l’angolo, e il lavoro non è mica finito. Insomma, al premier non resta che dare di sproni: «Ma non possiamo accontentarci. Se abbiamo fatto tutta questa strada in dodici mesi, vi immaginate dove potremo essere ad agosto 2016? Allora, godetevi queste vacanze, perché alla ripresa ci sarà da correre ancora più forte. Per concretizzare tutti i nostri sogni – che già stanno diventando realtà – dovremo completare le riforme, ma soprattutto sbloccare le tante opere pubbliche incagliate, le tante energie scoraggiate, i tanti talenti inespressi».
Il problema sta solo nel farlo comprendere a chi sta fuori dal Parlamento, come sta fuori da qualunque altro palazzo, sede o camera in cui si decidono le sorti del Paese. Nelle riforme di cui Matteo Renzi parla c’è tanto di buono, di innovativo, di salutare, però noi italiani i cambiamenti li vediamo sempre con sospetto, soprattutto perché l’aria di crisi non è ancora volata via dai nostri cieli, e quanto a disoccupazione i miglioramenti ancora non si vedono. «Io debbo e voglio dirvi grazie: mi avete onorato della vostra fiducia (personale e parlamentare) e se abbiamo riacceso la macchina della speranza è perché voi ci avete creduto». Sì, d’accordo, ma devono crederci anche gli altri. Da quando Matteo Renzi era primo cittadino di Firenze ad oggi, la fiducia e le aspettative che gli italiani riponevano nei suoi confronti sono calate un bel po’, così come è calato il consenso al PD. Pur rimanendo infatti il partito di maggioranza, i sondaggi attuali lo danno al 35%, che non è proprio la maggioranza assoluta (e non ci va neanche tanto vicino), mentre aumentano i potenziali elettori di Lega Nord e M5S.
Cambiare non è mai facile, nemmeno mettere mano ai problemi di un Paese lo è, e quando ci vuole il pugno di ferro allora è giusto usarlo. Senza dimenticarsi, però, che anche il popolo deve percepire quelle riforme e quei cambiamenti come necessari, altrimenti il rischio è che alle prossime elezioni il PD non avrà più il sostegno di cui ha bisogno per proseguire per la sua strada. E non lo diciamo per fare i gufi.
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