«La Cina è per l’Italia il secondo partner commerciale extraeuropeo dopo gli Stati Uniti. Nel 2013 l’interscambio si è attestato a 32,9 miliardi di euro e nei primi sei mesi del 2014 l’export è cresciuto dell’8,3%. Ma possiamo fare di più».
Per anni, forse decenni, ci siamo sentiti dire che la Cina rappresentava il più grosso nemico commerciale al mondo. Dalle pagine dei giornali abbiamo letto, anche solo tra le righe, l’allerta sull’inarrestabile avanzata cinese, persino nelle nostre città, nelle nostre strade, nei nostri negozi. Lo spauracchio del gigante giallo che stava per inghiottirci tutti incombeva minaccioso sulle nostre economie, piccole e grandi. Le parole di Matteo Renzi, invece, fanno intuire tutt’altro. Forse un nuovo corso.
È il discorso che precede la firma degli accordi di pochi giorni fa tra Italia e Cina: per la precisione, ben 13 accordi per un totale di oltre 8 miliardi di euro. E per Renzi questo è soltanto un “antipasto”. L’allusione gastronomica, del resto, calza a pennello, dal momento che il cibo stesso è stato argomento di discussione e ha fornito lo spunto per uno scambio di battute tra il nostro Premier e quello cinese, Li Keqiang. Questi si è detto interessato a investire ed esplorare maggiormente il mercato terziario, a intraprendere una collaborazione col Bel Paese anche nel campo dei fornelli: insomma, rilanciare sempre più i loro ravioli e la nostra pizza, due dei cibi più amati e diffusi in tutto il mondo.
Per il momento, quelle sulla cucina restano solo delle ipotesi per il futuro. Gli accordi sottoscritti a Palazzo Barberini riguardano tutt’altro. Nella fattispecie, si va dal contratto siglato tra Finmeccanica-AgustaWestland con la Beijing General Aviation per la fornitura di 50 elicotteri, a quello tra la CDP (Cassa depositi e prestiti) e la China Development Bank per realizzare, tra le altre cose, anche finanziamenti per l’export e progetti infrastrutturali. E poi ancora il contratto tra Enel e Bank of China, tra il Fondo strategico italiano e China Investment Corporation, tra Invitalia e la Export Bank of China.
Quella sorta di diffidenza, neanche troppo velata, che da tempo scorre sottopelle nell’acquirente medio italiano, quell’antipatia che non ha bisogno di essere palesata verso ciò che viene dell’Estremo Oriente, è stata scongiurata in poche ore con dei tratti di penna, delle strette di mano e queste parole dell’ex sindaco di Firenze. Nell’immaginario collettivo italiano il cittadino cinese non ci fa mica una bella figura, riconducibile a stereotipi poco gratificanti che da sempre ci inducono a dubitare dei prodotti scadenti che vengono dall’est, in favore del sempre affidabile Made In Italy. Eppure, non si dice nulla di nuovo ricordando che la Cina già da tempo immemore si è “infiltrata” nei prodotti nostrani, anche quelli che finiscono sulle nostre tavole, persino quelli registrati con il marchio Made In Italy. Pomodori cinesi che diventano salsa italiana. E che dire delle quote di aziende come Fiat, Telecom ed Eni vendute ai cinesi? Nel suo più famoso libro, Roberto Saviano sosteneva che l’Oriente non è più lontano, come da sempre viene definito, ma si è fatto anzi vicinissimo. È diventato il prossimo Oriente. Questi accordi sanciscono una vicinanza che è ormai tale già da prima che ce ne accorgessimo, e che è, probabilmente, inevitabile. La Cina è la seconda potenza economica al mondo, per alcuni è addirittura superiore agli Stati Uniti. Respingerla potrebbe rivelarsi semmai svantaggioso. Anche la Gran Bretagna ha compreso il potenziale degli investimenti cinesi.
Le parole di Renzi, e quello scambio di battute sul cibo, cadono proprio a proposito, con l’Expo di Milano praticamente alle porte. Non bisogna puntare, ha ricordato il premier, soltanto sull’economia, ma anche sul turismo, e su ciò in cui i due Paesi eccellono da sempre, e quindi sulla cultura e, perché no, come ha subito rilanciato Li Keqiang, anche sul mangiare. E a Renzi non è mancata la risposta: «vediamo se il cibo italiano sarà all’altezza di quello cinese». Che sia una sfida?