Diceva un vecchio proverbio napoletano: ”O turco ca se battezzaie vuleva ‘mpalà a tutte chille ca jastemmavano” Ovvero ” Il turco convertito voleva impalare tutti quelli che bestemmiavano Conservando con “l’impalare” i suoi vecchi costumi e mostrando lo zelo del neofita che doveva farsi perdonare la sua pregressa”turchitudine” mentre i battezzati di antica religione erano più tolleranti verso i bestemmiatori. Questo proverbio mi è tornato alla mente leggendo gli articoli di varie anime belle che insistono sulla “retorica ” del 25 Aprile, sulla noiosa ripetitività delle cerimonie e, addirittura, sull’insussistenza militare della Resistenza dato che ci hanno liberato gli americani, come dice un certo Massimo Fini (parente?) che, non so perché viene gratificato dell’appellativo di “intellettuale”, vocabolo inflazionato e che seguito da “di destra”genera un ossimoro. Costui, fra l’altro, in un pretenzioso articolo stigmatizza l'”ignavia” degli italiani perché non contestarono Mussolini il 10 giugno 1940 a piazza Venezia quando dichiarò la guerra (!?). Come si vede un acume storico degno di nota.
Quelli della mia generazione ricordano l’entusiasmo di quei giorni, le notizie delle successive rese ai partigiani d’importanti reparti tedeschi. Le scene di Genova con interi reggimenti tedeschi obbligati a sfilare disarmati e sotto la scorta di ragazzi abbigliati nei modi più fantasiosi ma tutti col fazzoletto rosso al collo ed il mitra in mano. Dopo che il generale Meinhold, caso unico nella storia, dovette firmare la resa di un corpo armato tedesco ad un corpo militare irregolare.
Questi individui, imbarazzati dall’avere aderito al PCI e dall’essersene servito per carriere redditizie personali debbono farsi perdonare l'”errore ” infierendo sulla memoria del paese. La Resistenza fu opera di giovani e giovanissimi, diretti da uomini che avevano pagato amaramente il loro antifascismo. Secondo me la foto emblematica del 25 Aprile è quella della dirigenza del CLN che apre la manifestazione di Milano: Cadorna, Longo, Parri, Enrico Mattei ed i rappresentanti di repubblicani, socialisti e indipendenti.
C’era l’Italia del popolo per strada quel giorno, c’erano gli operai che avevano salvato le fabbriche armi alla mano, i ferrovieri che avevano sabotato i trasporti militari a rischio della vita. E questo se ne viene: l’Italia l’hanno liberata gli americani. (Che non erano i soli visto che cerano inglesi, francesi, polacchi, australiani, neo zelandesi, indiani, ebrei palestinesi, brasiliani ed anche, se permettete i reparti regolari italiani dell’Esercito di liberazione. Furono quella rivolta giovanile ed il dignitoso comportamento dei nostri soldati abbandonati dai comandi in Europa orientale rifiutarono la collaborazione con i tedeschi finendo ad Auschwitz, che salvarono la nostra dignità. Nessuno nega l’importanza, sul piano militare, dell’intervento alleato ma nessuno deve negare l’importanza politica della ribellione spontanea di un popolo che ritrova nella lotta unitaria la sua dignità ed il suo riscatto.
A me questi signori che, dopo settant’anni, vogliono mettere le braghe alla storia, che blaterano di un Mussolini, condannato senza processo, di azioni militari irregolari (perché i partigiani non chiesero il porto d’armi prima di sparare) ed altre amenità simili fanno pena. Anime imbelli, che si raccontano la storia a modo loro, che sono così nemici della retorica, così anti conformisti (dopo settant’anni) da ritenersi di poter impunemente fare le bucce a chi allora liberò il Paese armi in mano. Un Paese deve avere i suoi riti civili che tramandano alle nuove generazioni i suoi principi fondanti e la memoria delle condizioni storiche che li generarono. Dov’è in questo la retorica? Abbiano almeno il pudore del silenzio, questi piccoli borghesi che della Liberazione e della politica hanno goduto tutti i vantaggi senza avere speso un soldo della loro vita al servizio del Paese.
Preferisco quelli che lavorano per trasmettere lo spirito unitario e nazionale di quei giorni per evitare che i nostri ragazzi cadano in errori settari che non giovano né a loro né alla memoria di quei giorni che essi sentono ancora (fortunatamente) come propri.