Il referendum del 17 aprile si fa sempre più vicino, e ne abbiamo parlato con un esponente della direzione regionale del PD di Caserta, Carlo Scatozza, per avere un’opinione che provenga dalle file del partito.
«Nel referendum del 17 Aprile saremo chiamati a scegliere se una concessione di estrazione debba avere la durata di 20 anni o fino a esaurimento del giacimento. I Referendum proposti sul tema da 10 regioni erano 6 e il parlamento ha recuperato quasi tutti i punti iniziali della proposta referendaria: I sei quesiti proposti chiedevano l’abrogazione di un articolo dello Sblocca Italia e di cinque articoli del decreto Sviluppo. Questi ultimi si riferivano alle procedure per le trivellazioni.
Già c’è stata quindi una vittoria delle regioni (quasi tutte a guida Pd), infatti avremmo votato anche per cancellare tre norme introdotte dalla legge sblocca Italia, quella che definisce “strategica” l’attività petrolifera, una norma sugli espropri e una sulle competenze delle regioni. Questi quesiti sono venuti meno perché le richieste sono state soddisfatte da vari emendamenti alla legge di stabilità 2016 e approvati dal parlamento nel novembre scorso. Gli idrocarburi non hanno ora più il carattere di “strategicità, indifferibilità e urgenza” che avrebbero necessitato di procedure accelerate e con scarse garanzie di consultazione per gli enti locali. E’ stato eliminato il vincolo preordinato all’esproprio, per cui anche solo una concessione per la ricerca poteva portare all’esproprio dei terreni. Annullata anche la norma che avrebbe consentito al governo di sostituirsi alle regioni per autorizzare progetti di idrocarburi e delle infrastrutture relative, ora, infatti, il governo non potrà più decidere unilateralmente ma dovrà riunire le regioni interessate e verificare compromessi possibili.
Tra le regioni proponenti del referendum c’è anche la Regione Campania, con voto unanime del Consiglio regionale, soprattutto perché vi era la preoccupazione che tra le pieghe del decreto “Sblocca Italia” si potesse aprire ad autorizzazioni di “ricerca di petrolio e gas anche in zone di mare dove tali attività erano vietate per legge dal 1991”. Zone come il mare di Ischia, Capri, riviera domizia-flegrea, costiera amalfitana e la costa cilentana potevano essere interessate tanto che il presidente De Luca, dichiarò: «Sarebbe un delitto immaginare di fare trivellazioni nel golfo di Napoli: anche se ci fosse il petrolio, direi di no. Perché se il petrolio andasse a finire a Capri e Ischia, noi andiamo sulle prime pagine dei giornali italiani ed europei». L’opposizione non è dettata per lisciare il pelo al movimentismo verde ma perché sulla bilancia delle scelte la priorità alla industria turistica, alla qualità della vita dei cittadini ha pesato molto di più di possibili e scarsi giacimenti che non avrebbero comunque risolto i problemi della bolletta energetica nazionale.
Rimane in campo quindi un unico quesito che riguarda solo le concessioni in essere, per lo più in Adriatico. Dispiace constatare come elementi del comitato per il SI a livello nazionale stiano trasformando la campagna in un referendum contro il governo, additato di non avere alcuna coscienza ambientale, nonostante gli accoglimenti della gran parte dei quesiti rilevati dalle Regioni, mettendo al centro il parlamento che ha impresso una svolta rispetto alle nome contenute nella prima versione dello SbloccaItalia. Oggi un Si il 17 Aprile va vissuto al netto delle ragioni propagandistiche di parte delle opposizioni e di chi vuole farne un uso strumentale all’interno del Pd (illuminante lo scontro tra i governatori di Puglia e Basilicata, entrambi promotori del referendum ma con un “utilizzo” interno e toni da anatema da parte di Michele Emiliano, davvero improprio e ben oltre la tematica strettamente referendaria). Serve, a mio avviso, nonostante la quasi impossibilità di raggiungere il quorum, un Si per portare l’attenzione dell’opinione pubblica su una economia mondiale che ha bisogno di energia ma che sempre meno potrà ricorrere agli idrocarburi, una tendenza da incentivare anche con una riflessione ampia che faccia uscire la politica tradizionale (anche dei sindacati) da una logica ancora permeata da uno “sviluppismo economicista” molto in voga negli anni ’60-80 in Europa e nei paesi industrializzati, oggi non più sufficiente a costruire le strategie di sviluppo del futuro, dove faranno molto male, all’economia e non solo all’ambiente, sia i No a tutto ma anche Si ad ogni attività. Una riflessione che non può essere solo nazionale ma quanto meno di livello continentale».