Il triste episodio della morte del diciassettenne Davide Bifolco in sella con altri due compagni ad una moto non fermatasi all’alt delle forze dell’ordine alle 2.40 di giovedì scorso, ha richiamato l’attenzione sulle condizioni di uno storico rione popolare degli anni settanta che rappresentò il fallimento del disegno urbanistico di un quartiere popolare che voleva essere un modello, per cui si parlò ben presto di un “ghetto”. Nello stesso tempo, anche per ricordi personali, in un clima post sessantottino si dispiegò l’attenzione e l’intervento di Comitati di inquilini e di gruppi di volontariato di diversa ispirazione, ricordati da Giuseppe Galasso nell’Intervista sulla storia di Napoli, Laterza, Bari 1978, per una riqualificazione territoriale. Poi è calato il silenzio se non per caduti per lotte di camorra o blitz della polizia in riferimento ad un diffuso traffico della droga, e gli abitanti si sentono abbandonati e prigionieri di gruppi di malavitosi.
Il coinvolgimento di tre giovani del rione in una corsa finita male con l’uccisione di uno di essi, ha dato la stura a facili affermazioni sul degrado del quartiere, sull’illegalità diffusa, sull’ostilità di strati della popolazione nei confronti dello Stato lontano se non “assassino” ed in questo contesto sulla devianza giovanile. A nostro avviso, si tratta di “comprendere” non solo condizioni di abbandono ed isolamento di un contesto, ma soprattutto i tratti di una subcultura popolare basata sulle strutture primarie della famiglia e della parentela colpite dalla tragedia che hanno acquistato voce e sono scesi in piazza per chiedere giustizia in riferimento alle modalità della morte del loro caro. Dai benpensanti facilmente sono stati messi in rilievo e condannati i comportamenti di questa gioventù “bruciata”, che scorazza a tarda notte in tre in sella ad una moto senza assicurazione e così via. Si tratta di comprendere anche con gli strumenti delle scienze sociali la devianza e la subculture giovanili non solo del rione in questione, senza indebite generalizzazioni.
Ci sovviene un studio di analisi qualitativa e interpretazione sociologica dal titolo Devianza giovanile e camorra a Napoli a cura di due sociologi napoletani dell’ISERS, G. Di Gennaro e D. Pizzuti (Osservatorio sulla camorra, 1/1991, pp.69-150), una ricerca condotta dal novembre 1988 al settembre 1989 raccogliendo biografie e storie di vita deviante in tre differenti quartieri, rispettivamente il Rione Traiano, la 167 di Secondigliano e i Quartieri Spagnoli. L’indagine intendeva analizzare gli elementi costitutivi della subcultura deviante, il milieu culturale nel quale si radica il fenomeno della camorra, la relazione tra subcultura di gruppo e l’appartenenza ad esso come modalità che compensa la precarietà esistenziale ed offre sicurezza. Dalle testimonianze degli intervistati si possono individuare tratti di una subcultura deviante che caratterizza in particolare le forme della devianza giovanile, prodotti culturali della marginalità ma anche all’origine della stessa in un rapporto di feed back e che contribuiscono ad autoalimentarla.
Per la loro capacità analitica di modelli e comportamenti culturali che trovano riscontro per esempio in alcune affermazioni su un progetto di vita affidate alle pagine diario dal povero Davide, si segnalano questi tratti: – orientamenti familistici e particolaristici imitazione di modelli vistosi di consumo condivisi dalle giovani generazioni delle classi elevate; aspirazioni al protagonismo, mutuato dalla società dei consumi, che trova funzionalmente espressione e realizzazione all’interno delle organizzazione camorristiche; ostentazione di forza ed aggressività. come risorsa di richiamo ed affermazione; ribellismo negli atteggiamenti, che tende ad esprimersi ed a trovare un punto di riferimento nei gruppi della criminalità organizzata; bisogno a volte “anarchico” di affermazione individuale, al di là di ogni norma, regola e relazione; capacità di adattamento plastico alle più diverse situazioni.
Rispetto al processo del “diventare devianti” secondo note teorie sociologiche, risalta in ogni caso l’affermazione generale dell’affiliazione che “il soggetto media il processo del divenire deviante” sia nel senso di attribuzione di determinati significati alle proprie azioni nel corso di esperienze concrete, sia nel senso della possibilità di rinnegare determinati impegni, e quindi di determinazione di sé e non predeterminazione.
Non volendo fare d’ogni erba un fascio rispetto a comportamenti “anarchici” che non si riscontrano solo al Rione Traiano, in riferimento soprattutto alle manifestazioni giovanili di protesta perché colpiti nella carne di uno di loro, è necessario anche alla vigilia della riapertura delle scuole, un’opera per una rielaborazione critica di tutta la vicenda come per il lutto, perché non rimangano ferite aperte.