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Ristoranti contro il Dpcm: «Ci uccidono e ci danno un cerotto: non ci fidiamo»

«La scelta di chiudere alle 18 non dichiara guerra al virus, ma la dichiara al nostro comparto». È una certezza quella che esprime Aldo Cursano, vicepresidente di Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi. Ha due ristoranti e un caffè nel centro di Firenze. Alle 11 di questo lunedì mattina conta due clienti al bar in uno spazio che, fra interno ed esterno, arriverebbe a ospitarne un centinaio.

Ristoranti contro il Dpcm: «Ci uccidono e ci danno un cerotto: non ci fidiamo»

340mila imprese che occupano donne e giovani in prevalenza. Sono i numeri a raccontare la difficoltà del settore della ristorazione.

Gli incassi sono scesi al 20-30% rispetto all’abituale. Il sistema di delivery non è che un palliativo per la sera, dal 7 al 15% del fatturato quando i costi rimangono invariati. «La consegna non sostituisce i luoghi della socialità. Lo stile italiano non passa solo dal cibo, ma dall’esperienza, dal rapporto umano. Farci passare per untori ci ferisce più dello stesso virus».

Per ristoranti e bar manca un progetto, una strategia, «C’è solo un’improvvisazione che sta uccidendo un intero sistema economico». È impossibile seguire decreti che cambiano continuamente, «si gioca con la vita di imprese e persone». Aggiunge Cursano: «Con l’altro decreto eravamo feriti in modo importante. Il nostro incontro con Conte verteva su un risarcimento danni per la chiusura a mezzanotte e gli altri impedimenti che pesavano sulle nostre attività. A distanza di tre giorni abbiamo avuto invece un decreto che contraddice il precedente e decreta la nostra morte».

I gestori dei locali, lo riportano le associazioni, si sono indebitati per sottostare alle norme dei vari decreti: eliminando sedute, prevedendo nuovi processi produttivi, creando nuovi menu, mettendo in sicurezza i locali. «Avevamo la consapevolezza che la salute era una priorità e abbiamo fatto il necessario, non lo hanno fatto invece altri, soprattutto in questi otto mesi, per assicurare la viabilità, gli spostamenti, l’ingresso a scuola, la gestione della sanità. Tutti vediamo cosa ha fatto il privato, il pubblico non lo ha fatto e ora scarica responsabilità su altri».

tà, ci hanno promesso che nessuno sarebbe rimasto indietro e ancora deve arrivare la cassa integrazione. Adesso ci dicono che ci uccidono, ma ci danno un cerotto: non ci fidiamo». I contributi a fondo perduto dovrebbero questa volta arrivare direttamente sul conto corrente, previsto un credito d’imposta per gli affitti commerciali per i mesi di ottobre e novembre e la cancellazione della seconda rata Imu.

Il 28 ottobre è in programma una manifestazione di protesta. I ristoratori che si sentono a terra in terra apparecchieranno, con l’apparecchiatura capovolta. «Dobbiamo far capire che certi provvedimenti non vanno a colpire la mala-movida. Il problema è all’esterno dei locali. Perché i centri commerciali possono stare aperti? Perché i supermercati sì e noi no pur avendo le stesse regole? Abbiamo il ragionevole dubbio che si sia deciso quali sono le imprese essenziali, che si salvano, e quali quelle superflue. Quando le persone perderanno caffè e ristoranti e troveranno solo le grandi catene capiranno che perdiamo lo stile di vita. Allora però tutto il terziario deve essere considerato superfluo non solo i locali pubblici».

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