Si precipitò di corsa al Carcere di Salerno lo scorso sette marzo, a poche ore prima del secondo DPCM, mentre la rivolta dei detenuti era ancora in corso. Li era presente già il Provveditore Antonio Fullone e la direttrice del carcere Rita Romano.
Calmare gli animi, parola d’ordine. Ma quella “rivolta” non fu la prima. In Emilia Romagna il Provveditore regionale aveva sospeso i colloqui ed in quella regione i detenuti erano insorti. Le rivolte sono scoppiate anche in Campania a poche ore dopo le proteste di Salerno. Le immagini del Garante dei Detenuti Samuele Ciambriello che, da solo, all’esterno del Carcere di Poggioreale dava spiegazioni alle consorti ed ai parenti dei detenuti accorsi appena 24 ore dopo la rivolta di Salerno, ancora girano sui social. I detenuti salirono sui tetti per chiedere tutela sulla loro salute, condizione ancor più minata e precaria causa emergenza Covid-19. Il tutto condito dalla aggravante sovraffollamento. E su questi due punti verte la “verità” di Samuele Ciambriello. Nessuna trattativa Stato – Mafia nell’intenzione da parte dei detenuti di abolire il 41bis o, peggio ancora, di invocare un “extra omnes” che fattivamente significa Amnistia. La figura del garante, recita la parola stessa nella sua etimologia, è quella di assicurare vigilanza e rispetto su alcune garanzie fondamentali che devono essere comunque assicurate anche a chi vive una condizione di privazione della libertà personale. Mediare, nel caso di una rivolta, diviene un elemento fondamentale. Aizzare gli animi non serve, riportare la calma, invece, vuol dire ripristinare una situazione di tranquillità necessaria dalla quale ripartire per ragionare su alcuni aspetti fondamentali circa la tutela sanitaria dei detenuti. Questo è tutto. “Nessuna trattativa Stato Mafia“, ribadisce Ciambriello.
“La parola protesta vale per tutte le categorie e significa una azione di ascolto delle motivazioni alla base dei gesti seppur violenti. Ascoltare coloro che protestano, un gruppo di detenuti comuni, circa 180 a Salerno e 800 a Poggioreale, quindi, non significa intentare una trattativa tra istituzioni e mafia. Quello che è stato scritto è un romanzo frutto della immaginazione di coloro che dietro al sistema carcere vedono sempre la mano della criminalità organizzata. I professionisti dell’antimafia, sono sempre loro. Mi dichiaro da oggi co-trattativista costituzionalmente orientato”, dichiara Samuele Ciambriello.
E spunta una lettera inviata dal Garante il giorno 10 marzo inviata ai direttori delle carceri di Secondigliano, Aversa, Poggioreale, Pozzuoli in cui Ciambriello, d’intesa col Presidente del Tribunale di Sorveglianza Di Napoli Adriana Pangia, sollecita a presentare al più presto pratiche di detenuti ultra settantenni, senza reati ostativi, e quelle di coloro che dovevano scontate una pena inferiore a sei mesi, sempre senza reati ostativi. Con lo stesso magistrato si era già affrontata la questione dei semi-liberi a cui assegnare gli arresti domiciliari, sollecitando ad un veloce intervento. Questione accolta fino al 30 giugno.
Nella stessa conversazione col garante Ciambriello emerge che “ci sono principi costituzionali ignorati e messi in discussione da politici con una scarsa memoria. Considerato che lo strumento principale individuato dall’attuale governo, l’art 123 incluso nel Decreto Cura Italia del 17 marzo 2020, e cioè l’utilizzo della detenzione domiciliare per coloro che devono scontare meno di un anno e mezzo nelle carceri è un istituto attivato con la legge 199 del 2010 dal governo di centro destra, ministro della giustizia Alfano, che aveva dato buona prova nella stagione del sovraffollamento carcerario: basti pensare che dall’entrata in vigore della legge 199/2010 fino al 31 dicembre 2019 sono usciti dalle carceri per effetto di questa misura 26.849 detenuti”, continua Samuele Ciambriello.
Per capire il presente carcerocentrico e immaginare un futuro delle carceri come accudimento per le persone detenute non bisogna mai perdere la memoria ne delle cose fatte ne delle leggi approvate.