Qualche giorno fa, in Francia, nei dintorni di Parigi, dodici uomini si sono macchiati di un crimine orribile. Hanno prelevato un ragazzo di sedici anni, lo hanno fatto salire a bordo di una Clio e, portatolo in un luogo isolato, lo hanno massacrato di botte armati di spranghe, riducendolo in fin di vita. Il ragazzo, che si chiama Darius, è stato ritrovato in un carrello da supermercato nel quartiere popolare di Pierrefitte, comune della banlieue a nord di Parigi. Qui il giovane viveva in una bidonville all’interno di una comunità rom, che ora ha abbandonato l’accampamento. Era stato fermato piu` volte per reati di furto, e ora giace in coma, con la testa fracassata. I dodici ignoti lo hanno “punito”, sostituendosi al tribunale degli uomini e a quello divino e hanno giustiziato in proprio un ragazzo reo di appartenere alla comunità rom, ritenuta responsabile di furti in appartamenti avvenuti nei giorni scorsi in quella zona.
Il presidente Hollande ha parlato di “un crimine indicibile che viola i principi della Repubblica”, mentre da Bucarest, il Ministro degli esteri rumeno in una nota chiede a Parigi di fare giustizia.
Questa vicenda si inquadra in un quadro di ondata xenofoba e di intolleranza che sta invadendo non solo la Francia, ma tutta l’Europa. Sembrano piu` che mai attuali le parole che Papa Francesco ha speso il 5 giugno a proposito del disprezzo che percepisce nei confronti dei rom, parlando ai partecipanti all’incontro mondiale dei promotori episcopali e dei direttori nazionali della Pastorale degli zingari.
Il Santo Padre ha detto: «spesso gli zingari si trovano ai margini della società e a volte sono visti con ostilità e con sospetto». E ha aggiunto: «Sono tra i più vulnerabili, soprattutto quando mancano gli aiuti per l’integrazione e per la promozione della persona umana nelle varie dimensioni del vivere civile».
Ha inoltre sottolineato come «i gruppi più deboli sono quelli che più facilmente diventano vittime delle nuove forme di schiavitù: sono infatti le persone meno tutelate che cadono nella trappola dello sfruttamento, dell’accattonaggio forzato e di diverse forme di abuso».
Ma qui si va ben oltre il disprezzo verso queste popolazioni che vivono ai margini della società, qui si procede verso quella che potrebbe diventare una nuova persecuzione razziale.
La mancanza di risposte delle politiche europee rispetto a un problema tanto delicato rischia, in tempo di crisi, di fornire ai cittadini già esasperati un bel capro espiatorio su cui sfogare la rabbia e i più bassi istinti, con l’alibi della difesa personale e della proprietà privata e della mancata tutela da parte delle forze dell’ordine. I cittadini insomma non si sentono sicuri e passano all’attacco di chi viene individuato come pericolo per la propria serenità, fosse pure necessario per questo massacrare un ragazzo di soli sedici anni.
Questo genere di crimini ci indignano, ci lasciano sconcertati, ma nello stesso tempo se ci pensiamo vittime di un furto almeno nell’immaginario ci sentiamo legittimati a desiderare di farci giustizia con le nostre mani.
Insomma, per disinnescare quella che oramai è una bomba ad orologeria piazzata nel bel mezzo della nostra avanzatissima civiltà è ora che all’indignazione si affianchi una progettualità che miri all’integrazione, che fornisca strumenti di formazione culturale e professionale, che possa avvicinare le popolazioni nomadi a quel concetto di bene comune a cui anche loro potrebbero contribuire. Chi di dovere pensi a tempi e modi per avviare questo lungo processo, prima che i nomadi diventino gli ebrei del ventunesimo secolo.
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