Ha fatto tanto rumore in questi mesi l’attività del Procuratore della Repubblica di Avellino, Rosario Cantelmo. Un rumore così assordante da far vibrare vetri e pareti di uffici e centri di potere, e scuotere l’agire indisturbato dei furbetti che avevano silenziosamente allungato i loro tentacoli sull’economia irpina e i diritti dei cittadini. Dalla nomina a capo della Procura avellinese, nel dicembre 2012, Cantelmo e i suoi sostituti hanno messo materialmente le mani su carte e fascicoli, aperto e svuotato archivi, chiamato a responsabilità senza timori reverenziali politica, istituzioni, sindacati, tecnici, rappresentanti del mondo imprenditoriale e famiglie, dando il La a una stagione di inchieste come, ad Avellino e provincia, non se ne vedevano da tempo.
L’Isochimica, la Dogana, le concessioni edilizie al Comune di Avellino, lo Stir di Pianodardine, e ancora la tragedia del viadotto Aqualonga sulla A16, i traffici di droga, la piaga rifiuti e l’inquinamento delle acque e dell’ambiente. Sono solo alcune delle voci all’attenzione della squadra del Procuratore: questioni troppo delicate per passare inosservate. La rivoluzione messa in campo dall’azione investigativa della Procura avellinese è sotto gli occhi di tutti, il messaggio che le sottende altrettanto: Cantelmo e i suoi collaboratori non sono più disposti ad abdicare al ruolo di presidio della legalità in una terra a lungo considerata un’isola felice, ma che tanto felice non è… E’ stato lo stesso Procuratore a sottolineare questa realtà, più volte nel corso di questi quasi due anni, abbattendo il velo dell’apatia e dell’omertà e ammettendo che in Irpinia le cosche hanno trovato uno spazio “incontaminato” per i loro loschi affari. Da ex capo della Dda di Napoli Cantelmo conosceva già molto bene la provincia di Avellino avendo lavorato a inchieste sui clan Cava e Graziano molto attivi nella Valle di Lauro.
Si inserisce in questo quadro la difficoltà a rubricare alla voce ‘scherzo di cattivo gusto’, le minacce telefoniche che mercoledì scorso il Procuratore e il presidente del Tribunale di Avellino Michele Rescigno hanno ricevuto nei loro uffici: «Farete la fine di Falcone e Borsellino». A firmare la telefonata probabilmente la stessa persona che un mese fa aveva avvertito della presenza di una bomba nel Palazzo di Giustizia, salvo poi scoprire che si trattava di un falso allarme. Le indagini sono in corso e sul fascicolo lavorerà anche la Procura della Repubblica di Roma, ma l’eco provocata dall’attività della Procura della Repubblica, sebbene preoccupi per le minacce ricevute, incoraggia a credere che ai vertici della giustizia irpina ci siano le persone giuste al momento giusto, e difficilmente non andranno avanti.