Ci sono uffici pubblici che si fanno simbolo, frontiera, avamposto. Uffici pubblici che non sono solo un centro di erogazione di servizi ma che diventano, nel tempo, pezzi di identità collettiva e che per questo svolgono una funzione sociale e culturale.
Basti pensare, ad esempio, a quello che negli anni scorsi sono state, sui territori, le preture.
Le città dove c’erano le preture si sentivano fregiate di un titolo, non solo di una funzione. Quell’insediamento era un punto d’onore, quella città era indicata e ricordata come sede di giustizia, e l’alone si proiettava alla statura stessa del luogo, che sentiva di doversi guadagnare quel presidio.
In provincia di Napoli, ne ricordiamo ancora esempi storici, come quello di Marano.
Essere sede di pretura era una responsabilità, un onere morale, bisognava esserne degni sotto il profilo del valore.
Mi sento di poter dire la stessa cosa, oggi – sebbene dentro funzioni del tutto differenti – per l’Ufficio del Giudice di pace. Mi capita, in queste settimane, di condividire l’impegno di intere comunità a difesa dei loro insediamenti di giustizia. Avverto una sincera preoccupazione per la perdita paventata di un ufficio come questo. E non è, chiaramente, solo la paura di un disagio o una questione degli addetti ai lavori. E’ togliere un pezzo di storia ad un territorio.
Le sedi del Giudice di pace – ai di là del valore pure importante delle funzioni che svolgono – sono presidi di legalità, bandiere di giustizia e di presenza dello Stato. Lo sono da oltre vent’anni, da quando con la riforma hanno sostituito il vecchio giudice conciliatore. E hanno guadagnato, in questo tempo, un senso doppio. Giustizia di prossimità che valorizza il ruolo delle istituzioni, avvicina i cittadini alle funzioni dello Stato, facilita la relazione tra tessuto sociale e organizzazione dei poteri. Ma anche promozione di sviluppo e coscienza civica.
Penso che questo elemento debba essere tenuto in conto dal Governo, quando si prospetta la chiusura di sedi importanti, soprattutto in città che sono storicamente legate all’esercizio della giustizia.
I problemi non mancano, lo sappiamo. Difficile la collaborazione tra i Comuni, soprattutto sul fronte della partecipazione alle spese per sedi e personale ma qualcosa bisogna fare per non privare territori importanti di questi indispensabili presidi di giustizia. Le soluzioni ci sono, possono partire dal Ministero, sono state già sperimentate in altre realtà.
In questi mesi mi sto impegnando con vigore per Marano, provando a impedire lo spostamento di tutte le attività ad Aversa, con enormi disagi sia negli operatori sia nei cittadini, ma soprattutto con una perdita culturale. Marano è un Comune sciolto di recente per infiltrazioni camorristiche, e tutta l’area a nord di Napoli – che spesso si sente abbandonata dallo Stato – non può restare senza una struttura operativa della Giustizia sul territorio. Sarebbe, per contrasto a quanto detto finora, un simbolo negativo di disfatta e di disgregazione.
Non ce lo possiamo permettere. E proveremo ad impedirlo.
Michela Rostan