Questa settimana è iniziata offrendo vari spunti di riflessione importanti. Per esempio il World Health Mental Day – Giornata mondiale della salute mentale che si celebra dal 1992 il 10 ottobre, è l’occasione migliore proprio per andare oltre la giornata in sé e iniziare a parlare in maniera consapevole e costruttiva di salute mentale.
Negli ultimi giorni anche Fedez sui social ha scritto molto di questo argomento dato che lo sente particolarmente vicino, avendo attraversato in prima persona la depressione:«Il disturbo mentale è un’esperienza comune nella vita di moltissime persone in Italia e nel mondo. Secondo la Società Italiana di Psichiatria, circa un italiano su quattro ha sperimentato nel corso della vita disturbi d’ansia, attacchi di panico, depressione, disturbi alimentari, psicosi e altre forme di disturbi mentali» e ancora:«… la salute mentale è un tema che riguarda molte persone giovani, ragazzi e ragazze. Forse ascoltare la mia esperienza, proprio quella di una persona che si pensa sia felice perché possiede tutto, li avrebbe potuti aiutare a sentirsi meno soli».
Fedez non è l’unico personaggio famoso a parlare pubblicamente della sua salute mentale. Selena Gomez, Brad Pitt, il principe Harry sono altri nomi celebri che hanno affermato di essersi rivolti a un professionista per affrontare i propri problemi psicologici. Anche loro lo hanno dichiarato pubblicamente innanzitutto per testimoniare che chiedere aiuto non vuol dire essere deboli e non deve essere più un tabù.
La percentuale di chi si affida alle terapie, infatti, è molto bassa, questo avviene soprattutto perché i pregiudizi e le opinioni comuni etichettano ancora la persona che va dallo psicologo come una persona pazza, fragile, incapace di reagire provocando senso di colpa e vergogna.
Al contrario prendere coscienza di avere un problema, decidere di affrontare, gestire e curare i proprio disturbi mentali è un atto di forza, di responsabilità, di amore verso sé stessi e la società.
L’impatto durissimo della pandemia sulla mente delle persone non ha risparmiato nessuno dunque a maggior ragione oggi non ci possiamo più permettere di ignorare i numeri del malessere psicologico né di nasconderli dietro pregiudizi arcaici e infondati.
Secondo l’Organizzazione Mondiale Sanità (OMS) il 10/20% dei bambini soffre di disturbi mentali mentre il 50% di questi insorge prima dei 14 anni.
Per i giovani non va meglio, in molti paesi d’Europa, per esempio, dopo la pandemia i giovani che si sono ammalati di depressione sono più che raddoppiati. In Italia ne soffre 1 giovane su 4.
Nel 2030 proprio la depressione, come prevede l’Organizzazione Mondiale Sanità (OMS), sarà la malattia più diffusa.
Purtroppo la risposta delle istituzioni pubbliche non era adeguata prima del Covid e non è adeguata adesso che il Covid ha peggiorato la situazione. In Italia la spesa sanitaria destinata alla prevenzione e alla cura delle malattie mentali è fra le più basse d’Europa, a scapito di chi ha bisogno di aiuto.
È come se non fosse consentito avere una debolezza psicologica, come se l’aspetto più esteriore di noi fosse l’unica cosa di cui doversi preoccupare. Invece se è vero che curarsi è un atto di forza, è altrettanto vero che non c’è niente di male ad essere fragili o ad attraversare un momento di debolezza, ad avere bisogno di aiuto perché da soli non si riesce a uscirne.
Nessuno deve sentirsi abbandonato, nessuno deve essere relegato in un angolo con la propria sofferenza.
Il malato mentale e la sua dignità, prima ancora della cura, è il principio che ha guidato il neurologo e psichiatra Franco Basaglia nel suo lavoro fino alla legge 180, conosciuta come la Legge Basaglia, entrata in vigore nel 1978.
Basaglia diede inizio a una vera e propria rivoluzione psichiatrica che prevedeva apposite strutture di assistenza al posto dei manicomi, l’istituzione del servizio pubblico di igiene mentale, la regolamentazione del Trattamento Sanitario Obbligatorio, lo stop a trattamenti violenti e terapie farmacologiche pesanti, rapporti più umani tra medico e paziente, gite e incontri coi parenti.
La Legge Basaglia rappresentò sicuramente per l’Italia un momento di grande avanzamento e innovazione nella gestione della salute mentale ma purtroppo l’attuazione effettiva di questo progetto rivoluzionario fu più complicata di quanto si potesse immaginare. In molti casi mentre i manicomi chiudevano le strutture alternative non erano pronte per cui la responsabilità e la cura dei malati piombò sui familiari, impreparati e abbandonati da uno Stato perennemente incapace di garantire risorse e supporto.
Tuttavia i passi in avanti da allora sono innegabili, eppure negli ultimi anni per molti aspetti siamo tornati indietro: sono tornati i pregiudizi e l’ignoranza rispetto ai disturbi psicologici, ma soprattutto le risorse sono ancora insufficienti e non vengono investite correttamente per garantire a tutti il diritto di prendersi cura della propria salute mentale.
Pensiamo al recente bonus psicologo che sembrava essere proprio quel passo in avanti che serviva, soprattutto dopo la pandemia, per rendere accessibile a tutti un percorso di psicoterapia. Nonostante le buone intenzioni i fondi hanno coperto solo il 10% delle domande e il tortuoso iter burocratico ha fatto il resto, definendo tutti i limiti di una riforma nei fatti inconcludente.
A quanto pare l’azione più urgente da intraprendere resta un cambio decisivo di mentalità.
Le cure mediche per la salute mentale devono essere considerate allo stesso modo di quelle per la salute fisica, sia per quanto riguarda l’importanza sia per il diritto all’accesso.
Rosalba Carchia