Tutti sanno che la televisione è da tempo una consolidata vetrina per politici di ogni fatture. Non diciamo niente di nuovo se affermiamo che giorno dopo giorno consiglieri regionali, comunali, deputati e senatori affollano questo o quel salotto televisivo, perlopiù nelle serate dei talk show e programmi d’informazione vari, che la domenica vanno a intrattenere le ore pomeridiane degli italiani. Non stupisce, pertanto, di ritrovare, proprio una domenica pomeriggio un volto noto quale quello di Matteo Salvini, la cui ascesa politica è andata di pari passo con l’aumento della popolarità televisiva; da bravo intenditore delle masse qual è, Salvini ha saputo approfittare di ogni telecamera a disposizione, e il caso vuole che sappia sempre cosa dire su qualunque cosa. Nulla lo coglie impreparato, si direbbe. In uno di quei salotti, dunque, l’argomento all’ordine del giorno era la questione dei consiglieri comunali di Napoli che non volevano rinunciare ai biglietti gratis per entrare allo stadio. Salvini, con ciglio severo e sensibilmente indignato, ricorda che a Napoli ci sono altri problemi ben più importanti da risolvere, come un numero insufficiente di scuole e lo smaltimento dei rifiuti. Pare veramente preoccupato, come se volesse risolverli di persona quei problemi, se potesse. Altra discussione, stavolta sul caso della città di Messina rimasta per giorni senza acqua nelle case dei suoi poveri abitanti, e anche lì il nostro segretario della Lega Nord si mostra quanto mai risentito per l’intera vicenda. Perché a Matteo Salvini sta a cuore tutta l’Italia, viene da credere.
Però i conti non tornano. Ci si potrebbe credere senza indugi se non avessimo coscienza, e soprattutto se non avessimo memoria. È o non è del segretario federale di un partito che si chiama Lega Nord che stiamo parlando? Che poi, fosse solo il nome il problema, non staremmo neanche qui a parlarne. Dovremmo non ricordarci, praticamente, che lo stesso Salvini nel 2009 si dilettava coi cori da stadio su Napoli e i napoletani non particolarmente lusinghieri. E se il 2009 vi sembra già lontano, ricordate che nel 2013, a Chiuduno, sbraitò che il Nord andava difeso “dagli sprechi della terronia”. Bisognerebbe non ricordarsi, per esempio, che Salvini e i suoi ci hanno voluto far sentire per anni come dei miserabili scrocconi, noi del Sud che non facciamo una cicca dalla mattina alla sera, mentre loro del Nord sgobbano tutto il dì per mantenere anche i meridionali. Ma loro i debiti del Sud non ne vogliono sapere di pagarli. Se avessimo ancora più memoria potremmo dire che all’indomani dell’unità d’Italia il debito pubblico più pesante era quello del Piemonte, ma rischieremmo di andare fuori discorso.
Ora, il punto è questo: Salvini ha fatto due più due, e ha capito che per diventare il primo partito in Italia, o quantomeno ingrossare le proprie fila in parlamento, i voti del solo settentrione non possono bastare. Si deve ingoiare qualche rospo e fare buon viso a cattivo gioco per fare breccia nel cuore dei meridionali. Gli stessi meridionali, però, sanno fare i conti anche loro, essendo bravi non soltanto in storia, ma persino in matematica, tant’è che mandiamo i nostri insegnanti e laureati tutti su al Nord, come gli uomini di Pontida ci hanno sdegnosamente fatto più volte notare. Se dobbiamo credere alla svolta di Salvini, se dobbiamo prestargli fiducia quando chiede scusa per gli errori del passato, allora noi del Sud siamo pronti a farlo. Ad alcune condizioni, però. Matteo Salvini è solo la punta dell’iceberg, ma dietro di lui c’è tutto uno stuolo di leghisti con cui fare i conti. Non vogliamo più sentir parlare di Padania, e vogliamo essere sicuri che Roberto Maroni abbia cambiato idea riguardo al secessionismo. Non vogliamo più sentire dichiarazioni razziste da parte di Calderoli o di Borghezio o chicchessia, anche per tutte le volte che ci hanno definito come degli africani in senso spregiativo, denigrando noi e loro in una volta sola. Non vogliamo che Luca Zaia dica più che quelli di Pompei sono soltanto quattro sassi. Non vogliamo che Gianluca Pini veda soltanto le differenze economiche che esistono tra Nord e Sud, ma anche i motivi che ci tengono insieme in un solo Paese. E magari, un giorno, potremmo ripensare pure al nome del partito.