“D’Alema pone un problema serio, quello della tutela della riservatezza e dell’onorabilità delle persone non indagate. Il Consiglio Superiore della Magistratura però non è munito di un potere d’intervento d’ufficio. In senso disciplinare può intervenire se investito dalla procura generale, dal ministro della Giustizia o da altri soggetti”, così ha dichiarato il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini che ha raccolto la proposta critica di D’Alema in riferimento alla pubblicazione sui giornali di intercettazioni telefoniche che non hanno rilevanza penale. “Piuttosto – ha continuato Legnini – questo grande tema richiederebbe un intervento legislativo appropriato”. Il che non significherebbe “mettere il bavaglio alla stampa ma tutelare l’onorabilità e la riservatezza delle persone”, ha concluso Legnini. Il vice presidente ha inoltre spiegato, durante un convegno su “Economia e legalità”, in corso a Roma, che il pm “può agire solo se investito dal ministro o dal pg”.
Riprendiamo il filo del discorso. Il nome del politico Massimo D’Alema passa in questi giorni da una bocca all’altra, da un giornale all’altro. La vicenda Cpl Concordia lo ha segnato al punto da scatenare una reazione quasi furiosa, un misto di indignazione e promesse di denuncia ad alcuni cronisti come ad esempio quel “Io la querelo e non sarebbe il primo oggi, sto denunciando diversi giornali” destinato all’inviato della trasmissione Virus di Rai2.
Cosa ha scatenato tutto questo? Ebbene, il nome dell’ex Ds, presidente del consiglio dei ministri dal ’98 al 2000, ministro degli Esteri e vicepresidente del Consiglio del governo Prodi II (2006-2008), è stato associato all’ennesima intercettazione svelante rapporti tra potere politico e imprenditori attraverso furbeschi mediatori. Si tratta del caso della coop rossa Cpl Concordia che ha portato in carcere il Sindaco Pd di Ischia, Giosi Ferrandino, per tangenti legate alla metanizzazione. Secondo il Gip, la Cpl Concordia avrebbe sborsato 160mila euro e garantito l’assunzione al fratello del sindaco piddino in cambio dell’aggiudicazione dei lavori.
La telefonata incriminata, in cui compare il nome di D’Alema, è quella in cui Nicola Verrini, direttore commerciale della coop rossa, chiedeva a Francesco Simone, riferendosi a terzi, se “queste persone poi quando è ora le mani nella merda ce le mettono o no?”, ricevendo la risposta “D’Alema mette le mani nella merda come ha già fatto con noi, ci ha dato delle cose”. Non solo questo però, c’è da tener conto anche delle famose 2000 bottiglie di vino prodotte dalla moglie di D’Alema e acquistate da Simone e della fondazione da parte della Cpl Concordia della Fondazione Italiani europei di cui D’Alema è presidente.
“Sono indignato. Ci vuole una legge per tutelare i non indagati”, la risposta dell’uomo sotto i riflettori, anche se non indagato. “Serve un intervento legislativo per tutelare l’onorabilità delle persone non indagate, per proteggerle da campagne diffamatorie come questa che mi vede protagonista, me e la mia famiglia” le parole con cui Massimo D’Alema si è difeso durante la giornata barese nel foyer del teatro Petruzzelli.
Sul caso è intervenuto anche Luca Palamara, ex Presidente Anm, oggi membro del Csm: “È opportuno che fin quando non ci saranno modifiche normative, ci sia una forte attenzione in prima battuta delle autorità inquirenti, in questo caso del pubblico ministero, per selezionare le informazioni che realmente servono. Non possiamo permetterci di mettere dentro le richieste di misura cautelare, anche notizie irrilevanti che possono suscitare gossip”.
Il tutto in risposta a un intervento dello stesso Massimo D’Alema che, in un’intervista del Corriere della Sera, aveva così commentato l’accaduto: “Il Csm, ma anche l’Associazione magistrati, dovrebbero esercitare una maggiore vigilanza affinché certe misure non siano superate e la magistratura non si delegittimi da sola. Non ritengo legittimo un uso delle intercettazioni come quello che è stato fatto nei miei confronti”. Addirittura, il politico aveva fatto riferimento a motivi da “complotto” che potrebbero – ha azzardato sempre D’Alema – aver mosso la mano dei magistrati: “Non c’era alcuna necessità di utilizzare intercettazioni fra terze persone, senza valore probatorio, dove si parla di me de relato. Allora mi viene il sospetto che ci sia un motivo, per così dire, extra-processuale. Dubito che la notizia dell’arresto del sindaco di Ischia e qualche suo presunto complice sarebbe finita sulle prime pagine dei giornali, se nell’ordinanza non fossero stati citati D’Alema, Tremonti, Lotti o qualche altro personaggio di richiamo. Ma se questa fosse la logica che ha ispirato i magistrati, ci sarebbe da preoccuparsi, non per me, ma per la giustizia”.
Se la risposta sulla vendita delle bottiglie di vino era stata quella di evidenziare la “normalità” dell’accaduto (“Quanto al vino mi viene da sorridere: se i pm vogliono acquisire agli atti una buona guida enologica scopriranno che i nostri spumanti sono segnalati tra i migliori, ed è notorio che in occasione delle festività le aziende ne acquistano in quantità per regalarli. Li abbiamo venduti e fatturati, concedendo la possibilità di pagare quattro mesi dopo: siamo noi che abbiamo fatto il favore alla cooperativa”); rispetto ai soldi incassati la risposta dalemiana ha rasentato l’apologetica politica: “Prima è stato abolito il finanziamento pubblico ai partiti, ora si criminalizza quello privato alla politica. Dopo, cosa resterà?”. Una domanda certamente da non sottovalutare.
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