Cultura

Schola Pompeii: un’Alta Scuola e il tassello mancante

Dal progetto di recupero di metà anni ’70, interrotto dal tragico evento del terremoto del 1980, al Grande Progetto Pompei, il grande parco archeologico ha visto un susseguirsi di lavori straordinari. Si è passati da maestranze specializzate negli scavi a ditte che inseguono appalti snaturando l’anima del sito Patrimonio dell’Umanità.

«Nel 1979 ho visto la più bella Pompei di sempre. In quell’anno, infatti, si conclusero i lavori straordinari per la Regio VI a cui dovevano seguire quelli per la regio V, VII, VIII e IX, cioè quei quartieri che adesso sono in uno stato disastroso. Nell’anno in cui si doveva passare da una situazione straordinaria ad una ordinaria, che avrebbe dovuto comportare piccoli lavori e continuo monitoraggio, c’è stato il terremoto che ha colpito fortemente anche Pompei. Da quel momento è iniziato un esercizio di straordinarietà sul sito che ha sconvolto quel programma.» Il racconto di Fabrizio Pesando, professore di archeologia all’Orientale e con una vita legata a Pompei a partire proprio dalla sua tesi, si sviluppa tra toni mitici, legati agli anni d’oro dell’archeologia, a toni più realisti, legati alla situazione attuale del sito. Attraverso il suo racconto si ripercorrono, quasi vivendoli, tre secoli di storia di Pompei, dai primi scavi a quelli di Amedeo Maiuri, passando per gli appuntamenti cinematografici ed artistici che hanno reso celebre il sito nel mondo.

Nel 1800 esisteva una scuola di formazione ispirata e voluta dal grande archeologo napoletano Giuseppe Fiorelli e nel 1900 c’erano le maestranze che vivevano gli scavi: fabbri, falegnami, muratori che si occupavano della quotidianità della città antica. Dagli anni ’80 è venuto a mancare il ricambio generazionale di quegli operai e con esso è stata cancellata anche la loro esperienza.

Quel circolo virtuoso, fatto di scienza e manodopera, che sembrava stesse recuperando i fasti della città è stato travolto da un decennio cupo per l’intera regione Campania.

«Un’ulteriore pianificazione fu proposta negli anni ’90 da Pier Giovanni Guzzo, soprintendente di Pompei dal 1995 al 2008, il quale stilò subito una grande carta dei rischi selezionando le grandi domus e evidenziando tutti i problemi legati al degrado di alcune zone come l’area centrale.»

Quello che è mancato a Pompei è stata una visione organica, una regia che potesse far propri i bisogni di quel mondo antico riportato in vita. È mancata insomma un’Alta Scuola di Pompei, una Cupertino dei giorni nostri, dove operai altamente specializzati potevano lavorare sotto la guida di archeologi ed ingegneri, dediti, oltre al recupero ed alla messa in sicurezza del sito, anche alla sperimentazione di nuove tecniche di conservazione, di nuovi materiali e coperture consone a preservarne i luoghi.

Sfortunatamente, per dirla con le parole del professor Pesando, abbiamo assistito ad «una devastazione totale del territorio per scelte politiche ed economiche. Si è deciso di distruggere in maniera programmatica una delle aree più belle del mondo, il famoso golfo di Napoli, in funzione di uno sviluppo economico che era soprattutto di carattere edilizio, con qualche espediente di tipo industriale. E cos’erano queste città antiche? Erano delle cose che stavano li. Purtroppo stavano lì.»

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