È un fatto che ora nel mondo come cristiani siamo in miliardi a non avere la misericordia che ci chiede il Vangelo e che ci domanda papa Francesco, come allo stesso modo è un fatto che quanti viviamo senza la dovuta misericordia – di fronte a tanta violenza e tanta sofferenza (basti pensare all’angoscioso problema dei rifugiati) – dormiamo ogni notte così tranquilli e con la coscienza a posto.
Come e perché tranquillizziamo (tanto e così facilmente) la nostra coscienza? Certo, dobbiamo ricordare quello che comporta la fragilità e l’incoerenza che, in un modo o nell’altro, tutti ci trasciniamo. Ma a me sembra che in questa questione concreta non è spiegato tutto facendo ricorso alla nostra incoerenza morale. Non abbiamo più misericordia perché non abbiamo più generosità. Questo è evidente.
Ma capita che, oltre alla nostra debolezza umana, abbiamo una debolezza teologica che, a mio modo di vedere, è decisiva in questa questione. In cosa consiste questa “debolezza teologica”?
Lo dico in poche parole: il Dio dei vangeli non coincide con il Dio dell’apostolo Paolo. Si tratta, infatti, di due “rappresentazioni” di Dio, che sono diverse proprio su questo punto concreto della misericordia.
Infatti, il Dio dei vangeli è il Dio che “vuole misericordia e non sacrificio” (Mt 9, 13; 12, 7; cf. Os 6, 6). Tuttavia, il Dio di cui parla Paolo è il Dio di Abramo (Gal 3, 16-21; Rm 4, 2-20). Ebbene, questo significa che il Dio che ci presenta Gesù vuole soprattutto misericordia, non vuole sacrificio e morte (in questo consistono i “sacrifici” rituali). Al contrario, il Dio di Abramo è il Dio che per primo ha imposto al patriarca biblico di sacrificare suo figlio Isacco su di un altare (Gen 22, 1-2). Detto ciò, il dramma contraddittorio, vissuto ed insegnato dalla teologia cristiana, consiste nel fatto che dobbiamo credere nel Dio di Gesù e nel Dio di Paolo (che è il Dio di Abramo).
E quale conseguenza prosegue da tutto questo? Inevitabilmente continua l’ambiguità nella quale viviamo la teologia e la spiritualità che ci vengono insegnate. Mi riferisco all’ambiguità consistente nel fatto che per alcuni la cosa più importante è praticare con spirito di sottomissione i sacrifici ed i rituali che la religione impone. Mentre per altri la prima cosa è avere misericordia, buon cuore e solidarietà con coloro che soffrono.
Molto semplicemente, il cristianesimo di Paolo ci tranquillizza la coscienza se compiamo i doveri della religione. Mentre il cristianesimo di Gesù ci tranquillizza la coscienza solo se prendiamo le parti dei rifugiati, di coloro che patiscono la fame, degli ammalati, di coloro che soffrono. È chiaro perché come cristiani siamo in tanti a “vivere senza misericordia e con la coscienza tranquilla”?
Articolo pubblicato nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com ) il 12.1.2016
Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI