Si è svolta in questi giorni, al Teatro Bellini a Napoli, la presentazione di una nuova edizione del classico manzoniano I Promessi Sposi, edita dalla BUR e curata da Francesco de Cristofaro, Giancarlo Alfano, Matteo Palumbo e Marco Viscardi, e con un saggio linguistico di Nicola De Blasi. A fare da apripista è stato Toni Servillo, già padrone di casa al Bellini con Le Voci Di Dentro di Eduardo De Filippo, in scena fino al 18 gennaio. L’attore campano ha inaugurato la serata con la magistrale lettura del celeberrimo dialogo tra Don Abbondio e Federigo Borromeo, conquistando tutta la platea con il suono della sua voce e con le parole del più famoso romanzo italiano.
«Difficile prendere la parola dopo l’incanto della lettura di Toni Servillo» ammette Arturo De Vivo, professore di Letteratura Latina della Federico II ed ex direttore del Dipartimento di Studi Umanistici. «C’è un senso nella decisione di iniziare con la lettura di Toni Servillo, perché gli studiosi che hanno dato vita a questo libro hanno fatto una scelta filologica coraggiosa, quella di partire dalla edizione del ’40-‘42 che vedeva la pubblicazione de I Promessi Sposi insieme alla Storia della colonna infame, e soprattutto con le illustrazioni di Francesco Gonin. I Promessi Sposi sono uno dei cardini del canone scolastico, e in questo caso ci si cimenta con un’opera che va riletta e riportata ad un pubblico che non sia più soltanto quello della scuola. In questo progetto troviamo un’istanza comune ai vari interventi, che è un’istanza di oralità e auralità. Parlano di quest’opera come se fosse un ibrido mediale, un audiovisivo, e si insiste proprio sul concetto di lingua da ascoltare, per cui l’eccezionale recitazione di Servillo è il coronamento di quest’operazione».
L’impresa è stata tutt’altro che semplice, come ricorda Andrea Mazzucchi, professore di Filologia della Letteratura italiana: «Si trattava di ingaggiare un corpo a corpo con un classico che è l’archetipo della tradizione romanzesca italiana e che proprio per la sua paradigmaticità è un testo che rischia esegesi ripetitive, stantie, una retorica che di certo a Manzoni non sarebbe piaciuta. Gli autori di questo commento hanno dovuto confrontarsi anche con una tradizione di commenti tutt’altro che marginale e minore. Quello di Francesco de Cristofaro e dei suoi compagni di squadra è un tentativo molto riuscito di mediare tra l’eccessiva semplificazione e l’autentica interpretazione del testo». Soprattutto, vale la pena di insistere sulla volontà di riproporre tutte le illustrazioni che Gonin aveva realizzato in strettissima collaborazione con Manzoni stesso, e dunque sulla necessità di leggere insieme questi due corpi di un unico romanzo.
«Noi abbiamo a casa delle edizioni perlopiù senza le illustrazioni che l’autore invece fortissimamente volle e senza la Colonna infame che è parte integrante di quella storia, per cui questa è una ragione decisiva per rileggere il grande libro in questa edizione. Non è lo stesso classico che abbiamo conosciuto a scuola» aggiunge Giovanni Maffei, altro pilastro della Federico II di Napoli. «Non troviamo più qui il tanfo, la ruggine, la polvere, i riti liceali, i muscoli gonfi dell’erudizione. I Promessi Sposi sono un monumento, ed è facile che diventino come quegli statuoni risorgimentali che stanno nelle piazze d’Italia e a cui nessuno bada tranne i piccioni. Come tornare a vedere un monumento? Come farlo parlare di nuovo, come farlo respirare?»
È proprio questo l’obiettivo che ha superbamente perseguito la squadra di curatori di quest’edizione, che pone il grande capolavoro della letteratura italiana e mondiale al servizio di un serio attento lettore di oggi, e non soltanto di quello scolastico, con un commento che è dà lustro e importanza all’avventura del leggere.