«Torniamo a respirare, finalmente». Tira un sospiro di sollievo, padre Firas Lutfi, rettore del collegio Terre Sainte, e poi continua a raccontare della sua Aleppo che fiduciosa aspetta la pace. Vede i volti delle persone sorridere e «le automobili che hanno ripreso a circolare. Osservare di nuovo il traffico caotico tra le strade affollate come un tempo è emozionante», racconta il francescano. Siamo in Siria, alla vigilia del primo Natale senza guerra. Il primo, dopo sei anni di agonia. L’acqua scorre a singhiozzo nelle case, e l’elettricità è ancora intermittente. Ma c’è spazio per sperare, e questa è la vera novità.
«Dopo lunghe trattative tra l’Esercito e le milizie armate i gruppi militari hanno consegnato le armi e sono usciti dalla parte est della città». Mantiene una sana prudenza padre Ibrahim Alsabagh, parroco di Aleppo, ma non trattiene la gioia per quello che sta accadendo: «L’esercito ha detto ormai di considerare Aleppo una città sicura. Appena giunta la notizia, tutti i muezzin delle moschee hanno innalzato preghiere e le chiese hanno suonato a festa». Per tanto tempo gli aleppini hanno aspettato questo momento. «Ho chiesto in ogni caso di non mettere troppi addobbi natalizi fuori dalle case», ripete – pragmatico – padre Ibrahim.
La strada verso la normalità sembra ancora lunga e dolorosa, e il timore di un attentato è tale da aver costretto i francescani ad anticipare la messa di mezzanotte: «Celebreremo la funzione alle cinque di sera, quando il sole tramonta. È più sicuro e limita i pericoli di un possibile colpo di coda delle ultime frange jihadiste rimaste in città». La gente però è fiduciosa, «e di notte finalmente riusciamo a dormire – dice padre Lutfi – senza il continuo rumore dei bombardamenti che nelle ultime settimane non ci ha dato tregua».