Scappati alla fame per finire in un ghetto, con il miraggio di un lavoro e del permesso di soggiorno. È l’ennesima triste storia che coinvolge gli immigrati, negli ultimi anni molti africani, che guardano all’Europa come speranza di salvezza per il loro destino e all’Italia come porta naturale per la vita nuova.
In questo caso, grazie al sostegno dell’ARCI, si è riuscita a fermare una spirale di violenza, sopraffazione e sfruttamento che, tra le altre cose, ha come rilevanze penali l’associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata e continuata.
La vicenda giudiziaria inizia nel 2010, quando 5 marocchini decisero di denunciare chi aveva promesso, truffandoli, un lavoro ed un permesso di soggiorno.
La vicenda umana, invece, inizia molto prima. «Alla fine del 2009 – racconta Francesca Coleti, dirigente ARCI – la polizia sgomberò 500 migranti che dimoravano nel ghetto di San Nicola Varco, un luogo drammaticamente assurdo. Era sorto nella struttura di un vecchio mercato ortofrutticolo, divenuto discarica di ogni genere di rifiuti, prevalentemente copertoni di auto. Con la nostra associazione riuscimmo a trovare una sistemazione per moltissimi di loro, per alcuni anche un inserimento lavorativo. Molti iniziarono a raccontarci le loro storie, il loro vissuto, e notammo che in alcuni punti, con vicende significative, coincidevano nonostante queste persone non si conoscevano affatto».
Le loro storie, infatti, iniziavano ad intrecciarsi intorno a personaggi come Assan o come il commercialista Panico di Eboli. Avevano messo su, con la complicità di altre 24 persone, faccendieri, commercialisti, avvocati, datori di lavoro, un’associazione a delinquere dedita alla truffa di extra comunitari. Offrivano dei “servizi” confezionati ad hoc a seconda delle esigenze che i migranti avevano: viaggio, posto di lavoro, permesso di soggiorno, per cifre che oscillavano dai 2000 ai 12000 euro. Alcuni pagavano, grazie ai soldi che la loro famiglia aveva regalato come dote per un futuro nuovo e migliore rispetto al presente da cui scappavano. Altri si indebitavano, tanto da essere sfruttati per 10 ore al giorno nelle campagne con un compenso di 20 euro che serviva, in grossa parte, a sanare il debito.
«Subito dopo lo sgombero – continua la Coleti – 5 di loro, che avevano avviato le pratiche, pagati quei soldi ed aspettavano di essere chiamati al lavoro, siccome questa cosa non avveniva, si diressero in varie città dove avrebbero dovuto trovare i datori di lavoro. Purtroppo, solo li si sono resi conto che essere stati truffati. La polizia ha scoperto, nel corso delle indagini partite dalle denunce dei 5 marocchini, che il giro d’affari era grandissimo e coinvolgeva più di 200 immigrati».
All’udienza preliminare presso il Tribunale di Salerno, di qualche giorno fa, il giudice Emiliana Ascoli ha convalidato la richiesta di 26 rinvii a giudizio per associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata e continuata a danno di 208 immigrati tra Campania, Calabria e Basilicata.
« La cosa importante – chiosa Francesca Coleti – e che costituisce una novità sul piano nazionale, è il comportamento interpretativo fino ad oggi avuto dalla giurisprudenza che ha sempre qualificato gli immigrati complici e non vittime nelle truffe sulle sanatorie, ipotizzando tra l’altro anche il fine indiretto dello sfruttamento lavorativo. In secondo luogo, per la prima volta una denuncia collettiva di cinque immigrati, assistiti dall’ARCI e dall’avvocato Liliana Nesta, dimostra che con la tutela ed il sostegno dell’associazionismo, il coraggio delle vittime ottiene un riscontro da parte della giustizia, di cui si potranno giovare molte più persone ed i migranti in generale».