Abbiamo tutta l’estate per trovare uno sfidante degno del lampo che si è appena aggiudicato il record di più lungo del mondo: un fulmine lungo 709 km – più o meno la distanza tra Milano e Napoli, o tra Londra e Ginevra – individuato il 31 ottobre 2018 sopra il sud del Brasile e il nord-est dell’Argentina. La scarica è uno dei due fulmini da Guinness dei Primati di recente registrati dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale delle Nazioni Unite: l’altro è un lampo che il 4 marzo 2019 ha illuminato, per la bellezza di 16,7 secondi, il nord dell’Argentina, la saetta più lunga come durata nel tempo.
PUNTI DI CONTATTO. Entrambi i fulmini hanno più che raddoppiato i precedenti record, secondo Focus, appartenenti rispettivamente a un lampo che nel 2007 si era dispiegato per 321 km sopra l’Oklahoma e a un altro che nel 2012 aveva rischiarato i cieli della Francia per 7,74 secondi. Entrambi i “nuovi” detentori del record si sono verificati tra una nuvola e l’altra e non hanno scaricato a terra. Entrambi hanno avuto origine all’interno di sistemi convettivi a mesoscala, cioè sistemi temporaleschi estesi per decine o centinaia di chilometri, che si sviluppano sulle pianure aperte del Sud America dall’unione di più cumulonembi, le nubi a forte sviluppo verticale che creano la maggiore instabilità atmosferica. Singole tempeste si aggregano in imponenti temporali a multicella, dove le diverse cellule temporalesche si scambiano continuamente energia.
MIGLIORI MISURAZIONI. Per lungo tempo i parametri caratteristici dei fulmini sono stati studiati utilizzando sistemi di rilevamento di terra che ne misuravano le onde radio. Questi strumenti hanno però il limite di non cogliere appieno l’estensione superiore dei fulmini che osservano. Fortunatamente, nel 2017 l’Amministrazione nazionale oceanica ed atmosferica statunitense (NOAA) ha lanciato il Geostationary Operational Environmental Satellite-R (GOES-R), il primo satellite geostazionario in grado di mappare i fulmini dallo Spazio, da 36.000 km di altitudine, un salto di qualità che ha permesso di ampliare i domini geospaziali in cui avvengono le osservazioni. C’è quindi da aspettarsi che questi record vengano presto di nuovo infranti.