JUBA, il Sud Sudan ancora una volta attanagliato dalla morsa delle violenze, gli scontri sono si
indirizzano tra una guerre tra comunità rivali, almeno in questa circostanza sembra che l’origine
non è di natura politica, il fuoco e non solo è stato aperto per il controllo dei pascoli e dell’acqua.
In evidenza gli scontri si sono registrati nella provincia di Jonglei, il governatorato del Sudan del
Sud dove nel 1983 ha avuto inizio la guerra civile. L’Alto Commissario per i diritti umani delle
Nazioni Unite, Michelle Bachelet, in una nota ha dichiarato: «La situazione qui è spaventosa».
Stando a quanto riferisce l’ONU, decine di civili sono stati uccisi tra il 16 e il 17 maggio in attacchi
in 28 villaggi, molti altri sono rimasti feriti e a migliaia sono stati costretti ad abbandonare le loro
case e a fuggire.
Secondo il Commissario delle Nazioni Unite, nel primo trimestre del 2020 la
violenza tra comunità in lotta è stata la principale fonte di brutalità nei confronti di civili.
Sarebbero centinaia le persone vittime di questi terrificanti scontri con un notevole numero di
feriti altre persone risultano rapite e un gran numero vittime di violenza sessuale. L’ONU rileva,
che nei governatorati di Jonglei e di Pibor anni di insicurezza alimentare e di gravi inondazioni
hanno causato la violenza scoppiata negli ultimi mesi. La natura di questi conflitti, è da attribuire al
controllo ed all’accesso alle risorse naturali, in particolare l’acqua e il pascolo per il bestiame,
Bachelet aggiunge: «si è evoluta negli ultimi anni, assumendo un carattere sempre più militarizzato
con tattiche di tipo militare e armi di livello militare. Affinché la pace sia duratura le autorità del
Sud Sudan devono agire per porre fine a questi cicli di violenza causate da ritorsioni, anche
costringendo i responsabili a renderne conto davanti alla giustizia e promuovendo la costruzione
della pace tra le diverse comunità. La serie di attentati fra metà febbraio e i primi di marzo, in cui
hanno perso la vita 220 civili e in cui sono state rapite almeno 266 donne, la maggior parte di
queste vittime non siano ancora state liberate dalla prigionia». L’ONU, si è rivolta al governo di
Juba «a garantire misure contro questa ondata di violenza in modo che i responsabili siano
perseguiti e le vittime abbiano giustizia». La speranza viva è in questo momento cosi delicato per il
continente africano, è l’auspicio di un stabilità tra le fazioni in lotta.
A cura di Raffaele Fattopace