L’Africa si sta facendo decisamente troppo calda negli ultimi anni. E non stiamo parlando del clima. Il continente nero, si sa, non ha mai avuto vita tranquilla: basta sfogliare i nostri libri di storia per rendersene conto; ma negli ultimi anni la situazione sembra davvero essere precipitata verso un trambusto di guerre e guerriglie che coinvolgono quasi ogni singolo angolo e Paese africano. Compreso l’ultimo tra gli ultimi, il neonato Sudan del Sud, che ha appena due anni di vita e già è straziato da una inutile e dolorosa guerra civile.
Non che in Sudan la pace albergasse da tempi immemori: anche qui, una rispolveratina ai nostri libri di scuola ci aiuterebbe a vedere come il Paese, non appena abbia trovato un attimo di respiro, sia scivolato ogni volta verso una nuova, lacerante agonia. Il 9 luglio del 2011 un referendum aveva stabilito la secessione della parte meridionale dello Stato sudanese e la nascita della Repubblica del Sud, ma siccome la storia si ripete, nel dicembre del 2013 le due etnie Dinka e Nuer sono scese in campo per combattersi apertamente, l’una a sostegno del presidente Slava Kiir, l’altra per appoggiare l’ex vicepresidente Riek Machar, allontanato dall’incarico a causa dei contrasti con il primo. Il risultato è che più di un terzo della popolazione ha perso tutto quel (poco) che aveva, le case sono state saccheggiate e distrutte, nemmeno le chiese si sono salvate da quest’ondata di violenza. E c’è anche chi (come il monsignor Roko Taban Mousa, ricorda che mai, anche negli ultimi trenta, difficili anni di guerre interne, c’era stata una simile devastazione.
Accanto al numero dei morti che lo scontro ha mietuto finora, si aggiunge anche quello delle possibili, future vittime indirette della guerra, poiché, se le violenze continueranno ad impedire ancora a lungo il lavoro dei campi, sarà difficile contare su un raccolto in grado di sostenere una popolazione che vive principalmente di ciò che semina. È Jonathan Veicht a comunicarlo, il responsabile della missione Unicef nel Paese, che ha richiamato l’attenzione generale sui 250mila bambini che potrebbero andare incontro ad una morte causata da grave malnutrizione entro la fine dell’anno e su quei quasi 4 milioni di bambini sud sudanesi che soffrono la fame. La FAO parla invece di una caduta dei raccolti pari al 65/70 % e del notevole aumento dei prezzi dei beni alimentari in tutta l’area colpita dalla crisi. L’ONU è riuscita a raccogliere per il momento una cifra la cui entità varia a seconda delle fonti (si va dai 4 ai 7 milioni di dollari), ma comunque ancora molto lontana dalla somma che servirebbe a attuare i necessari interventi di emergenza.
Come se non bastasse, la stessa missione dell’ONU nel Sudan del Sud (Unmiss) è stata investita dalla polemiche di Medici Senza Frontiere, che ha accusato l’organizzazione internazionale di <<scioccante indifferenza>> nei confronti degli sfollati e delle condizioni in cui sono costretti a vivere. Le critiche si riferiscono ad un campo aperto proprio dall’ONU nella capitale Juba per accogliere 21.000 sfollati in una zona a rischio inondazione. Le piogge dei giorni scorsi hanno infatti provocato allagamenti e il collasso delle latrine, causando il mescolamento del loro contenuto nelle acque accumulate nei canali di scolo e il conseguente pericolo di malattie e di peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie. Da parte sua l’assistente del segretario generale della missione Toby Lanzer ha parlato di rischi calcolati e di un attacco inutile da parte di MSF che, ciononostante, continuerà a lavorare nella base a fianco dell’ONU per portare assistenza a chi ne avrà bisogno. E in un Paese dove si contano quattro milioni tra sfollati e rifugiati su un totale di otto milioni di abitanti, ad averne bisogno sono davvero in molti.