Antonio Leo Tarasco, alto dirigente del Mibact e professore di diritto amministrativo, nel suo ultimo volume dedicato a ‘Il patrimonio culturale, modelli di gestione e finanza pubblica’ (Editoriale Scientifica), indaga i siti archeologici italiani, i beni culturali che dovrebbero renderci fieri.
I problemi che sussistono sono enormi: scarso ricorso a tutti gli strumenti per far rendere economicamente il patrimonio culturale, guadagni ridotti, poche le sponsorizzazioni private,troppi visitatori che non pagano l’ingresso. L’analisi che ne scaturisce è lucida, severa, ma accanto alle note dolenti vi sono anche le proposte per migliorare la gestione del patrimonio culturale, proprio a partire dalla riforma voluta dal ministro Dario Franceschini. La cultura è sempre stata considerata una spesa e non un mezzo fondamentale per investire e per credere nel paese, nell’ Italia, il bel paese invidiato da molti per le sue straordinarie bellezze. Secondo Tarasco, la principale causa della cattiva gestione del sistema delle ricchezze artistiche nazionali è “la pretesa di una gestione interamente pubblica del patrimonio culturale, accompagnata dalla grande fiducia verso la tassazione pubblica e l’indolenza nella ricerca di risorse private“.L’autore a tal proposito spiega:”La contemporanea azione di quattro fattori principali agendo simultaneamente, producono effetti negativi“.
Le cause della cattiva gestione del patrimonio culturale sono :eccesso di concentrazione di beni culturali nel territorio italiano, eccesso di pubblicizzazione della gestione di quei beni culturali, esiguità delle risorse economiche a disposizione infine l’orientamento culturale incentrato sulla considerazione che del patrimonio culturale come ineludibile fonte di spesa e non (anche) come fonte di entrata. Per quanto riguarda i siti archeologici chiusi e quelli aperti al pubblico, l’autore sentenzia così: “Nel 2015 rispetto a 155 milioni di visitatori di musei e parchi archeologici il 10 per cento di questi (15 milioni), si è concentrato in soli 7 siti dei 508 siti statali culturali censiti nel 2015. Nel 2016, nei 529 siti censiti, oltre la metà degli introiti costituisce il prodotto delle visite in soli tre siti (Uffizi, Pompei e Colosseo)”.
L’analisi che scaturisce dal pensiero di Tarasco è quella di un paese bellissimo, ricco di storia, di arte, di reperti archeologici che non sono sfruttati fino in fondo, che sono invidiati perchè potrebbero fruttare un business da capogiro, facendo crescere l’economia dell’Italia, aiutandola a incrementare il mercato mondiale. Invece questi siti archeologici che la storia ha donato, sono abbandonati a se stessi, trascurati, barattati, bistrattati, a volte odiati perchè necessitano di manutenzione che manca. Ci è stato donato l’impensabile eppure la politica non sa guidarlo dalla sua parte, non sa veicolare il patrimonio artistico e storico italiano che è enorme e che man mano si sta sgretolando come polvere, sul cemento.