Da venerdì 8 a domenica 10 febbraio(venerdì e sabato ore 21:00 e domenica ore 18:00), presso il Nuovo Teatro Sancarluccio si terrà lo spettacolo “Usciti pazzi” con Antonio D’Avino, Laura Pagliara e Valeria Impagliazzo scritto da Antonio Scavone per la regia Niko Mucci.
Sinossi
In un ambiente spoglio – un tavolo, delle sedie – un marito e una moglie, Ciro e Ninetta, aspettano l’arrivo di un’ambulanza per il ricovero in una clinica di igiene mentale. È Ninetta, la moglie di Ciro, da ricoverare: è una donna dal tem-peramento forte, risoluto, dispotico. In realtà, Ninetta è bipolare, palesemente os-sessiva-compulsiva, caratterialmente bisbetica e capricciosa. Ciro è un marito ap-prensivo, conciliante: sopporta le recriminazioni e gli sbalzi d’umore di Ninetta – anche quelli violenti – ed asseconda la moglie con dedizione e pazienza tra malumori coniugali e insoddisfazioni quotidiane.
Ma “Usciti pazzi” è anche una farsa, tragica e surreale, dominata da un’esagerazione teatrale dei toni, sulla linea di confine tra normalità e disagio. Quel confine viene per così dire scoperto dall’arrivo dell’Infermiere comandato per il ricovero di Ninetta: si presenta come un primario, un luminare ma, più sem-plicemente, è un imbonitore scaltro e ammaliatore. L’Infermiere mette in mostra tutto il suo repertorio di sapiente parolaio: illustrando la qualità del servizio della clinica trova il modo di far condividere la sua storia personale, fatta di tormenti e delusioni. Tormenti e delusioni farseschi, ovviamente, tali da convincere Ninetta e Ciro di intraprendere un percorso senza ritorno.
Tra lazzi e bizzarrìe, anche questa farsa dal ritmo frenetico e trascinante ha un suo sotto-testo capzioso che è quello di una “normale” alienazione, di una “normale” depressione per uno smarrimento che solo una sovraesposta comicità può smaltire o attenuare. Si “esce pazzi” per una fragilità esistenziale ma Ciro ri-trova per sé e soprattutto per l’instabile Ninetta una praticabile via di riscatto per la quale si può, pur tra travagli e amarezze, recuperare un’alternativa identità di emarginati, di infelici per così dire stabilizzati.