Non è chiaro come sia nato questo modo di dire, «Fare la fine del topo». Certo è che in caso di terremoto questa è la prospettiva per chi sta chiuso in cella, e in una situazione simile si trova anche chi si occupa della sorveglianza.
“Ho pensato che potevamo fare la fine dei topi in gabbia”: le parole di un detenuto riassumono lo stato d’animo di chi si trova in carcere.
Dimenticate i film americani, dove con un pulsante si aprono automaticamente tutte le celle. Nelle carceri che vediamo noi l’agente di polizia di turno (e di notte il personale è ridotto all’osso…), per garantire un’evacuazione in caso di calamità, dovrebbe aprire una serie di cancelli per entrare in sezione e poi i blindi e le grate. Ovviamente in sezione non esistono uscite di sicurezza con apertura a spinta.
Nel momento in cui si verificava la scossa sismica del 23 scorso i detenuti erano nelle loro celle chiuse e per quanto ne sappiamo sono rimasti all’ interno anche durante le scosse successive. Non risulta che dal Ministero o dalla Protezione Civile sia arrivata disposizione di agire diversamente. Per cui anche il personale di custodia è rimasto all’interno della struttura.
Un altro detenuto dice: ” Avrei certamente preferito che fossimo usciti nel campo, ho avuto veramente paura”. Ancora: ” Uno di noi ha avuto una crisi isterica perché le crepe nella sua cella sono aumentate di dimensione”.
In alcune strutture del resto è anche difficile pensare ad un’evacuazione sicura perché come a Camerino non c’è un campo da calcio ma solo piccoli cortili tra quattro mura.
Non risulta che il giorno seguente sia stato concesso ai detenuti di mettersi in contatto telefonico con le proprie famiglie per rassicurarle sulle proprie personali condizioni ed accertarsi della condizione dei propri familiari, neanche a coloro che hanno parenti nelle Marche meridionali interessate più direttamente dal sisma.