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Torna a parlare Luca Materazzo: “Vi racconto la mia vita da Diversamente Libero”

Spesso dopo un errore si può decidere di continuare oppure trovare una soluzione e cercare di rimediare allo sbaglio commesso. Uno dei rimedi è sicuramente quello dell’adattamento a vivere in una cella con altre otto persone, si può sopportare il peso di una condanna in primo grado di ergastolo.  E ci si può anche convincere che questo sia un mondo normale. Ci si può convincere che il modo migliore è quello far scandire il tempo impegnandolo in ogni cosa, qualsiasi cosa. E poi c’è chi decide di vivere questa esperienza come punto d’inizio con nuovi obiettivi. Parliamo di Luca Materazzo, 540 giorni in una cella, nel carcere di Poggioreale, 38 anni,  accusato dell’omicidio del fratello Vittorio, protagonista del delitto di viale Maria Cristina, una sera di novembre di tre anni fa.  Luca in carcere è unico. Unico per la sua ambizione nel cambiare la sua vita, ribaltarla completamente. Ha deciso di conseguire la sua seconda laurea in lingue, quella in legge fu presa nella precedente vita, quella di ragazzo borghese, figlio di professionisti stimati in città) Luca si dedica non solo allo studio ma anche ad attività sociali, culturali e sportive.  Ultimamente si dedica anche all’aiuto psicologico degli altri detenuti. La giornalista, Monica Scozzafava ha avuto la possibilità di dar voce a Luca durante un’intervista. Ha avuto la possibilità di rispondere a mezzo lettera al “Corriere del Mezzogiorno”. Ecco quanto evidenziato da Linkabile:

Come trascorre le sue giornate?
«Partecipo a diversi corsi e attività che richiedono entusiasmo, dedizione e sacrificio. Sono particolarmente orgoglioso di essere stato coinvolto in due corsi (“Gestione delle emozioni” e “Condividendo”) organizzati da “La Mansarda” in favore dei detenuti con disagi mentali e relazionali. Hanno avuto durata trimestrale, prima avevo prestato lavoro come assistente alla persona. Così sono diventato il punto di riferimento per tanti reclusi, ma contemporaneamente hanno aiutato anche me a sviluppare capacità relazionali».

Caratteristiche che prima non aveva?
«Certo, ma in una realtà come questa non è semplice stabilire rapporti. Essere disponibile 24 ore al giorno ad assistere persone che hanno bisogno anche di un trasferimento al pronto soccorso, ha contribuito a aumentare i livelli di empatia con la comunità carceraria. Poi svolgo una serie di attività che mi tengono impegnate diverse ore a settimana, partecipo a eventi e spettacoli, studio inglese e spagnolo e mi dedico alla lettura di testi giuridici, economici, sociali e scientifici. Durante uno degli eventi, grazie alla partecipazione al corso di “Officina creativa”, sono stato premiato dal cardinale Sepe per il miglior presepe realizzato e poi assegnato al mio padiglione. Erano i giorni vicini al Natale, l’impegno e il riconoscimento ha dato forza a me e agli altri detenuti. Così come, più recentemente, in occasione delle festività pasquali, ho partecipato alla via crucis e ad altri eventi religiosi. La domenica sono disponibile a leggere le liturgie durante la messa»

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È un modo per sentirsi meno solo?
«Ho dovuto combattere la solitudine soprattutto nel periodo di detenzione a cavallo del processo di primo grado, in cui i colloqui con i miei familiari erano limitati per esigenze di trasparenza processuale. Avevo però l’affetto caloroso, attraverso la corrispondenza, di tanti amici fantastici. Poi qui all’interno dell’istituto c’è davvero tanta umanità, non tutti ne sono consapevoli: le educatrici sociali, lo staff psico-sanitario, il corpo di polizia mi sostengono con professionalità e umanità. Poi l’attività dell’associazione “La Mansarda” e quella del garante dei detenuti, Samuele Ciambriello, capace di portare amore, speranza, obiettivi e strumenti per raggiungerli».

Racconta una realtà diversa da quella immaginabile, quasi come se non avesse pensieri che la tormentano.
«Certo che ci sono, ma quello che mi tormenta di più è che una parte della stampa abbia raccontato il mio passato familiare o le mie vicende processuali in maniera non corrispondente alla realtà».

Ci fa un esempio?
«Durante un’udienza del processo, il portiere dello stabile dove risiede la mia famiglia ha raccontato, in qualità di teste, dei litigi intercorrenti da anni tra mio fratello e mio padre. Purtroppo il giorno successivo alcune testate giornalistiche riportavano che i litigi erano avvenuti tra me e mio padre. Ecco un esempio che dà l’idea di ciò che è successo a livello mediatico anche in altre udienze. Ho sofferto tantissimo, sarebbe bastato un corretto diritto di cronaca. Inoltre, in ambito processuale, è stato sistematicamente leso il mio diritto alla difesa, impedendo alla Corte di emettere una sentenza all’esito di una corretta dialettica e sintesi tra l’accusa e la difesa».

Ha cambiato anche tanti avvocati…
«Alcuni dei miei difensori rinunciarono ingiustificatamente alla possibilità di ascoltare e far deporre in udienza la consulenza del perito della difesa riguardo l’analisi del DNA sui reperti, tra i quali le stesse armi del delitto, addirittura prima che venisse ascoltato il perito di controparte e quindi ancor prima che venisse ascoltato il perito di controparte e quindi ancor prima che fosse possibile una qualsiasi valutazione di merito. Numerose vicende di questo tipo sono state le concause dell’interruzione del rapporto di fiducia con diversi difensori».

Come sono adesso i rapporti con la sua famiglia?
«Mi trasmette calore, affetto e forza. Durante il giudizio di primo grado i contatti con una parte della mia famiglia erano limitati per esigenze di trasparenza processuale. Ma in quel periodo, comunque, un mio cugino mi mandava le foto di suo figlio nato nell’ultimo anno, portando l’abbraccio di tutti i suoi fratelli. Un altro cugino che lavora all’estero è venuto a trovarmi, sua madre mi trasmette affetto attraverso la corrispondenza. Di recente le mie sorelle e i cognati, già presenti nelle udienze e calorosi nei miei confronti, sono finalmente venuti a trovarmi, donandomi lunghi abbracci e parole di incoraggiamento. Anche i miei nipoti, che per ora mi scrivono, hanno promesso che verranno presto a trovarmi».

Incontri che riescono ad alleggerire il regime di detenzione…
«Sicuramente. Uno dei pensieri positivi che mi fa superare i momenti di scoramento, è proprio l’immenso affetto che ricevo. Soprattutto quello di alcuni amici davvero speciali. Con le loro parole riescono a farmi emozionare e rasserenare. Le lettere dei miei nipoti, poi. Non riesco mai a smettere di leggere e rileggere le loro lettere: mi trasmettono una carica emotiva molto forte». 

Ha stretto nuove amicizie in carcere?
«Il rapporto che ho con tutta la comunità carceraria è ottimo, credo che ci sia solidarietà reciproca. Da parte mia sono sempre disponibile a scrivere lettere e poesie per le loro famiglie. Do loro un supporto giuridico per aiutarli a comprendere al meglio la loro posizione, per inviare istanze alla magistratura. E trascorro tempo a spiegare le principali norme del codice penale, di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario. Ricevo da loro incoraggiamento e manifestazioni sincere di affetto e di amicizia».
Non sono mancati i ringraziamenti di Luca Materazzo nella lettera al Corriere, per l’interessamento alla sua situazione di «diversamente libero».

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