A ormai un anno dallo scoppio della pandemia da Coronavirus, è necessario ricordare che tra i luoghi maggiormente coinvolti e tuttora a rischio ci sono sicuramente gli istituti penitenziari, dato il sovraffollamento, la promiscuità degli spazi e la carenza di condizioni igienico-sanitarie adeguate. Un anno fa scoppiarono in ben 27 carceri rivolte dei detenuti, dovute alla paura, alla mancanza di informazioni chiare e alla chiusura improvvisa di qualsiasi contatto con l’esterno. Al riguardo, il Garante campano delle persone private della libertà personale Samuele Ciambriello ha dichiarato: “Tre giorni terribili quasi un anno fa nelle carceri italiane. Molta approssimazione, poca preventiva informazione portarono a proteste, anche non pacifiche dei detenuti. Tra il 7 e il 9 marzo scoppiò la rivolta in ventisette carceri italiane, tra cui Salerno, Carinola, Poggioreale. Tre giorni drammatici, che provocarono tredici morti, per overdose da farmaci prelevati dai detenuti nelle infermerie!! Nemmeno il beneficio del dubbio che non volevano suicidarsi, visto che alcuni sarebbero usciti dopo un mese o alcuni mesi. Erano le prime settimane della pandemia, e il Covid-19 fu proprio la motivazione di quelle gravi proteste. È reato chiedere una commissione d’inchiesta sulla strage? È lecito chiedere giustizia e verità per tutti i morti in carcere e di carcere al tempo del Coronavirus?” Ha poi proseguito: “Oggi in Campania abbiamo registrato due suicidi, un ragazzo di sedici anni in una comunità e un detenuto a Santa Maria Capua Vetere, entrato da pochi giorni. Giustizia E Verità. É lecito chiedersi perché, o qualcuno potrebbe offendersi, o definire questa domanda di giustizia una lesa maestà nei confronti di chi invoca sicurezza. Io vi confesso che mi sento amareggiato per queste morti e un po’ colpevole.”
9 delle morti di un anno fa riguardarono persone recluse nel Carcere Sant’Anna di Modena (alcuni durante gli scontri, altri durante i trasferimenti successivi) e per 8 di queste è stata richiesta l’archiviazione delle indagini. Dunque, persone che sono rimaste per mesi senza nome né volto, e per le quali pochissime parole sono state spese dalle istituzioni, non meritano neppure che si faccia luce sulle circostanze della loro morte. Per uno di loro, Sasà Piscitelli, invece 5 coraggiosi detenuti hanno presentato lo scorso novembre un esposto in cui denunciano non solo violenze arbitrarie durante le rivolte, ma soprattutto un disinteresse totale nei confronti del detenuto Piscitelli, trasferito nonostante non fosse nelle condizioni di viaggiare e poi lasciato morire agonizzante nella sua cella.
Verità e Giustizia.
A cura di Giusy Santella