Gli Stati Uniti si stanno preparando a una guerra commerciale transatlantica. La retorica del presidente Donald Trump contro la Cina (considerata dal presidente americano non un’economia di mercato) è nota, ma la posizione della Casa Bianca che pone «l’America per prima» andrebbe ora anche contro l’Unione Europea. In base a indiscrezioni raccolte dal Wall Street Journal, infatti, l’amministrazione repubblicana intenderebbe mostrare i muscoli introducendo tariffe d’importazione esorbitanti quale misura punitiva nei confronti dei Paesi europei. L’approccio duro al commercio, con dazi fino al 100% su almeno 90 prodotti simbolo dell’eccellenza UE ,farebbe raddoppiare i prezzi delle merci in questione per i consumatori americani e ridurrebbe di conseguenza il volume delle importazioni. Sarebbe una ritorsione per un contenzioso che risale al 1998. Come ha commentato il Wall Street Journal, «il caso della carne fornirà un’indicazione su quanto l’amministrazione intenda essere aggressiva con i partner commerciali». Già l’attesa revisione dello “stato” di economia di mercato della Cina da parte degli Stati Uniti nell’ambito della Wto (che secondo l’Organizzazione mondiale del commercio sarebbe dovuto entrare in atto a fine 2016) cercherà di mantenere Pechino in posizione di svantaggio nei contenziosi di scambio così da assoggettare i suoi prodotti a continui dazi. E la misura approvata dal Congresso Usa nel 2015, che facilita l’imposizione di tariffe punitive, apre la strada alla ritorsione verso l’Unione europea. Mentre la bozza preparata dalla Casa Bianca per la revisione dell’accordo di libero scambio Nafta, tra Stati Uniti, Canada e Messico, punta proprio a riportare in uso i dazi nel caso le importazioni «causassero una seria minaccia» alle industrie nazionali. La prevista nuova posizione di Washington nel campo commerciale sta, giustamente, innescando un acceso dibattito sull’ideologia protezionistica e sui rischi che essa rappresenta per il commercio globale. Le decisioni del presidente Trump «preoccupano» pure il Vaticano, ma fortunatamente afferma il cardinale Peter Turkson, responsabile del dicastero per lo Sviluppo umano integrale a margine di un convegno sulla “Populorum progressio che anche negli Stati Uniti ci sono voci di dissenso, voci contrarie, in disaccordo esplicito contro le posizioni di Trump: ”È un segno che ci può essere un’altra voce e si spera che tramite i mezzi politici mano a mano Trump stesso cominci a ripensare alcune sue decisioni. «Contiamo anche sull’azione di lobby della Chiesa Usa”. Il cardinale ha detto che la Chiesa ha molta speranza che le cose cambieranno. La prima indicazione è che diversi membri dell’episcopato americano si sono già espressi sugli argomenti e hanno preso posizioni diverse da quelle del presidente. Dal lato pratico, però, le preoccupazioni potrebbero essere limitate dal fatto che la Wto autorizza gli Usa a imporre tariffe punitive solo su importazioni per un valore di circa 100 milioni di dollari.