Come si arriva alle battute finali della sperimentazione dei candidati vaccini anti covid? Quali parametri usano gli scienziati per valutare l’interruzione dei trial farmacologici e richiedere l’approvazione? Ecco una sintesi dei presupposti scientifici sui quali si basano queste decisioni, che potrebbe essere utile per orientarsi tra le tante informazioni su questo tema.
SOPRA LE PARTI. I trial clinici dei vaccini, compresi quelli contro la CoViD-19, sono condotti da aziende farmaceutiche o istituzioni accademiche (spesso, da una collaborazione tra di esse), ma la revisione di questi esperimenti spetta poi a comitati indipendenti, i safety monitoring board (DSMB). Questi organismi possono decidere di arrestare la sperimentazione non solo in caso di problemi come presunti effetti collaterali, ma anche se il vaccino dovesse dimostrarsi molto efficace: a quel punto, infatti, non sarebbe più eticamente accettabile somministrare ad alcuni il vaccino e ad altri un placebo.
LA CONTA DEI CONTAGI. I comitati indipendenti conducono quella che viene chiamata analisi ad interim, una sorta di valutazione di metà percorso, dopo che un certo numero di partecipanti alla sperimentazione rimane contagiata dalla covid e mostra sintomi dell’infezione. Ogni casa produttrice ha stabilito a quanto deve ammontare questo numero di casi, i cosiddetti “eventi”: quante infezioni da SARS-CoV-2 si devono cioè registrare (si spera, nel gruppo di controllo) prima di convocare gli esperti e decidere come proseguire.
QUANDO SI SMETTE? Per il candidato vaccino di Pfizer e BioNTech la prima analisi ad interim si terrà dopo 32 contagi; per quello di Moderna, dopo 53, anche se gli studi di tutti i candidati vaccini in fase 3 dovrebbero concludersi quando si saranno verificati all’incirca 150-160 casi di infezione da SARS-CoV-2 tra i partecipanti. Secondo molti esperti in salute pubblica, tuttavia, i test dovrebbero proseguire ben oltre questa soglia, soprattutto se, come sembra, il futuro vaccino anti covid non raggiungerà un’efficacia superiore al 60%.
La maggior parte delle aziende coinvolte considera infatti alla stregua di “eventi” casi sintomatici anche lievi, cioè i più comuni. Il monte contagi fissato come limite potrebbe essere quindi facilmente raggiunto annoverando tra gli eventi le forme poco gravi della malattia: non è detto però che un vaccino che riduce il rischio di casi lievi possa ridurre anche quello di contrarre la CoViD-19 in forma moderata o grave.
Gli adulti sani che partecipano alle sperimentazioni potrebbero veder diminuire il proprio rischio di contrarre la covid, ma questo non escluderebbe la possibilità che soggetti più fragili come gli over 65 possano ammalarsi lo stesso, con conseguenze serie sulla salute: per esempio, il vaccino contro l’influenza funziona peggio in chi ha un sistema immunitario già debilitato. Se non lasciamo che i trial proseguano fino a coinvolgere anche – e purtroppo – casi gravi, non sapremo se i vaccini sperimentali riducano anche le conseguenze gravi dell’infezione.
Affrettare la corsa all’approvazione rischierebbe inoltre di togliere partecipanti agli altri studi su vaccini candidati (perché tutti vorrebbero avere quello già efficace!) e lascerebbe non rappresentate le minoranze escluse dalle fasi iniziali dei trial di fase 3 come i bambini, le donne in gravidanza, gli adolescenti.
UN QUADRO A LUNGO TERMINE. L’obiettivo è proseguire i trial di fase 3 fino a che non si disporrà di dati a sufficienza, perché quando si passerà dalla sperimentazione alla distribuzione, andremo da qualche decina di migliaia di persone vaccinate a 100-500 milioni: occorre dunque che la statistica sull’efficacia del vaccino sia molto solida. Anche per queste ragioni tutti i trial dei candidati vaccini sono stati disegnati per poter proseguire in doppio cieco, cioè senza che ai partecipanti e a sperimentatori sia svelato chi ha ricevuto il vaccino e chi il placebo, fino a quando almeno la metà dei soggetti non sarà stato seguito per almeno due mesi dalla somministrazione.
UNA QUESTIONE DI CREDIBILITÀ. La forma più probabile di autorizzazione che un vaccino anti covid potrebbe ricevere nel breve termine sarà l’approvazione di emergenza, un consenso più flessibile che permette di somministrare farmaci che “potrebbero essere efficaci” ai gruppi più a rischio. Di recente, questo strumento ha rischiato tuttavia più volte di essere usato come leva politica con standard scientifici poco ortodossi, come dimostrano i casi dell’approvazione di trattamenti anti covid a base di idrossiclorochina e di plasma iperimmune. Ecco perché anche questo passaggio sarà estremamente delicato.