Un uomo con cui era difficile mostrare indugi. Questo resterà Gerardo Marotta nel ricordo di chi lo ha conosciuto. L’impressione febbrile che ti dava era quella di chi crede profondamente in quello che fa, sapendo di avere le ragioni che provengono da radici lontane e da uno sguardo lungimirante. Glielo riconobbe anche il filosofo francese Jacques Derrida, che la salita verso Palazzo Serra di Cassano percorse diverse volte. E in fondo è questo entusiasmo che nel tempo ha consentito di coinvolgere tanto grandi personalità nell’attività dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.
Bussai la prima volta alla porta dell’Istituto quando ero nel movimento studentesco napoletano. Servivano spazi per un’iniziativa, se ben ricordo, e l’Avvocato non ci pensò più di un momento. A me invece, una giovane rappresentante degli studenti medi napoletani, diede l’impressione che dentro l’Istituto la passione per gli studi e la riflessione non disdegnasse l’impegno civile e organizzativo, e insomma non girasse a vuoto. Nel corso degli anni quella mia sensazione si è rafforzata, anzi è diventata patrimonio della città. È difficile negare che la storia dell’Istituto sia ormai un pezzo della storia di Napoli. E un pezzo non da poco. Certo, resta il lungo elenco di illustri “teste filosofiche” di tutte le provenienze che hanno diffuso il nome dell’Istituto filosofico di Napoli in giro per le accademie di gran parte d’Europa e non solo. Ma non vorrei restare a questo.
L’interazione strenuamente ricercata con i ragazzi, l’apertura di numerose scuole estive in ogni angolo del Mezzogiorno, la profusione di risorse per finanziare borse di studio e di ricerca. Tutto questo non mi è mai sembrato uno sforzo elitario da studiosi solitari e indifferenti. Mi è sembrato piuttosto il modo per trovare legami reali tra la vita culturale più alta, i suoi esponenti maggiori, e i mondi sociali più diversi e disparati. Senza fare mancare mai la forza di pretendere da essi uno sforzo impegnativo e adeguata attenzione da parte delle istituzioni della città. E senza cercare di calare, magari compassionevolmente, l’alta filosofia sulla “fertile bassura dell’esperienza”, ma costruendo alleanze tra porzioni di cittadinanza d’ogni ceto sociale.
Un compito difficile, certo, ma su cui impegno civile e spinta culturale possono convergere. Ricordo che l’Avvocato Marotta partecipò attivamente ai tavoli istituzionali di confronto con la città organizzati nel 2006 dal Sindaco uscente Iervolino. Fu un contributo determinante per riprendere le radici di un sostegno democratico a quell’esperienza amministrativa. A dimostrazione del fatto che le fila della rappresentanza sono più solide se elaborazione culturale e vita civile non divorziano su mondi paralleli. E mi viene da aggiungere, tanto più quando prevalgono quelle spinte, economiche e sociali, che rompono il tessuto di una comunità. Non era un uomo senza spigoli, Gerardo Marotta. Era il suo modo di prendere parte, senza accondiscendenza, non di rado sfogando la sua rabbia sincera. Molti napoletani hanno in mente le sue parole sferzanti dopo il sisma del 1980, poi riprese nel film La seconda natura di Marcello Sannino, di fronte ai terremotati ospitati nella Biblioteca dei Girolamini. Molti di più hanno presente i più recenti sfoghi rivolti alle istituzioni affinché venisse tutelato il patrimonio bibliotecario di un Istituto ormai in gravi difficoltà.
Oggi questo problema non è ancora risolto, segno che l’attenzione data non è stata sufficiente. Gli oltre trecentomila volumi che compongono la biblioteca dell’Istituto filosofico restano dispersi in alcuni depositi fuori Napoli. Ben oltre la retorica dovrebbe andare l’impegno a far sì che quei libri ritornino in città, in una sede che consenta di usarli agli studenti, ai ricercatori, a tutti i cittadini. Evitiamo che, insieme al portone del Palazzo Serra di Cassano “chiuso in faccia al tiranno” dalla rivoluzione del 1799, resti chiuso anche il canale di conoscenza che la geniale generosità di Gerardo Marotta ci ha lasciato.