Martedì 8 luglio, XIV Settimana del tempo ordinario, nella proclamazione della Parola nella Messa si legge dal cap. 9 di Matteo la pericope che narra la guarigione del muto indemoniato, con la reazione dei farisei che attribuiscono questo segno all’opera del principe dei demoni. L’evangelista offre una immagine di grande efficacia dell’opera evangelizzatrice di Gesù che «percorreva tutte le città ed i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e curando ogni malattia e infermità».
Nella riflessione offerta ai fedeli presenti, l’illuminazione che ho ricevuto – come dico spesso scherzosamente ai presenti – mi ha fatto individuare in questo scenario riassuntivo dell’opera di Gesù due percorsi, quello peregrinante per città e villaggi del Profeta di Galilea con l’annunzio del vangelo del regno e la guarigione dalle malattie ed infermità umane, e quello della comunità di culto del tempo, la Sinagoga, con la venerazione e lettura della Torah che specie nei gruppi dominanti religiosi (scribi e farisei) non sa riconoscere la manifestazione della Parola incarnata nel Profeta che annunzia la buona novella del Regno che è illuminazione, guarigione e salvezza. Gesù è un Profeta di strada, ma insegna anche nelle sinagoghe nelle quali, però, non resta rinchiuso e dove, per esempio, proclama tra lo sconcerto il compimento della profezia di Isaia sull’avvento del tempo messianico e riceve un rimbrotto per aver compiuto un gesto di guarigione nel giorno del riposo sabbatico. Possiamo dire che i due percorsi trovano un punto di incrocio nel Profeta di Nazareth che porta il suo insegnamento anche nelle sinagoghe, dove si radunavano i giudei del tempo per il culto.
Queste riflessioni possono illuminare anche comportamenti religiosi del nostro tempo, senza esasperare la contrapposizione tra Vangelo del regno e sinagoghe di oggi, nel senso di pratiche religiose tramandate dalla tradizione e consolidate non solo nella religiosità meridionale. Il riferimento è alla processione con la statua della Madonna da parte della comunità civile e religiosa di Oppido Mamertina con le autorità civili in testa. con l’inchino davanti all’abitazione del boss locale che ha sollevato tanto rumore dopo la scomunica di papa Francesco ai mafiosi che non si convertono. Al di là delle ambiguità nell’organizzazione della processione, da parte di una chiesa o di Comitati di vario genere che appaltano la gestione della statua con annessi e connessi che fanno poi discutere, a mio parere si può intravedere in queste pratiche religiose che si appellano alla tradizione, più una comunità che celebra sé stessa con simboli attinti da un immaginario religioso tradizionale e devozionale. E che non mette in questione contiguità culturali che costituiscono un humus di riproduzione di mentalità e pratiche malavitose. Cioè una comunità umana (Sinagoga) non ancora pienamente pervasa dal Vangelo del Regno, se si inchina con la statua della Vergine davanti all’abitazione del boss locale, un comportamento senza mezze parole sacrilego, o come ha sottolineato con buona maniera mons Galantino un gesto che la Madonna non avrebbe gradito.
Si tratta certo di operare sul piano civile e religioso, perché comportamenti e pratiche anche religiose delle popolazioni meridionali siano liberati da ambiguità e contiguità con il mondo criminale, svelando la portata simbolica di gesti non innocenti. Pensavano che bastassero documenti della chiesa italiana che ripetutamente hanno affermato l’ incompatibilità tra mentalità ed agire mafioso e lezione del vangelo cristiano e le parole chiara di papa Francesco nella piana di Sibari davanti a 200.000 persone. Annunzio del vangelo del regno alla religione popolare o processioni tradizionali post Missam?
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