Classe 1953, professore di Microbiologia e Immunologia della Columbia University di New York City e autore tra gli altri del saggio “Princìpi della Virologia”, Vincent Racaniello è americano del New Jersey, ma figlio di un padre di Castelgrande, un paesino di 800 anime della provincia di Cosenza.
Dal suo laboratorio a stelle e strisce, il punto sui due dossier di un 2020 apocalittico: coronavirus ed elezioni presidenziali. Un intreccio folle, intricato adesso come forse non mai. Con dei dati fuori controllo e con Trump che, ha accettato di concedere la vittoria a Biden, solo venti giorni dopo le elezioni e dopo tutto il caos fatto
La “guerra del Covid”: com’è la situazione in questo preciso momento a New York e più in generale negli Stati Uniti?
«La situazione negli Usa è inaccettabile. Il presidente si è rintanato nella Casa Bianca e, in questo periodo, non ha fatto altro che twittare sulle elezioni e sui presunti brogli, fregandosene completamente della crisi e non fornendo, dunque, neanche l’ombra di una direzione».
A New York i contagi aumentano, così come i ricoveri. Non tanto, però, quanto nelle zone più interne del Paese, dove i numeri stanno letteralmente schizzando verso l’alto.
«Qui le scuole sono aperte e i ristoranti pure. La maggior parte delle persone usa le mascherine e rispetta il distanziamento sociale. Queste precauzioni, unite ai divieti di assembramento, possono ridurre la diffusione di questo dramma, ma in tantissimi Stati il quadro è completamente diverso e certa gente manco sa cosa sia una mascherina. L’amministrazione Trump ha delle responsabilità precise: ha sposato dei toni per cui non ci sarebbe stato un granché di cui preoccuparsi. E invece, eccoci. Detta con grande franchezza: non vedo l’ora di sbarazzarmi di questi quattro anni per tornare ad abbracciare una politica che crede nella scienza».
Al di là dell’atteggiamento superficiale e della guardia evidentemente troppo bassa, quali sono le “responsabilità precise” di cui parla? Quelle di Trump, tanto per intenderci.
«Sul fronte pandemia? Il fallimento totale. Dal primo all’ultimo istante. Dall’aver negato il potenziale impatto della stessa, al non aver reso l’uso delle mascherine obbligatorio a livello federale, dall’aver addirittura preso in giro coloro che le indossavano, al non aver cercato di aumentare il numero dei test ma paradossalmente di aver viceversa cercato di diminuirlo e ancora, per concludere, dall’aver insistito fino al ridicolo di essere oramai dietro l’angolo della soluzione, all’aver dovuto prendere atto di statistiche che continuavano (continuano!) a impazzire. Ho assoluto rispetto per la democrazia, ma pensare che milioni e milioni di americani trovino che comportamenti del genere siano accettabili mi lascia davvero senza parole».
Veniamo a Joe Biden. Il presidente eletto già dialoga con la Comunità Scientifica e già ha un piano. Lei crede che possa in qualche modo rimediare a questo disastro o sta facendo soltanto il mestiere del politico? Voglio dire: è riuscito a individuare nella sua agenda degli elementi concreti che facciano ben sperare?
«Il solo fatto che abbia messo su una squadra e che questa squadra stia parlando con gli scienziati mi sembra già una grossa cosa. Quasi un mezzo miracolo, di questi tempi. Mi aspetto naturalmente che si vada oltre, che le cose migliorino ancora. Fino ad ora, però, non ho letto né sentito nulla che abbia il sapore della svolta, ma sono comunque certo che incoraggiare mascherine e distanziamento e contestualmente impedire assembramenti tracci una narrativa nuova, capace di per sé di costringere chiunque ad una relazione più seria e più prudente con il fenomeno virus. Un inizio che è già una sorta di miracolo. Per il resto sono sicuro che quando ci sarà da ascoltare Fauci, ascolterà ed ascolteremo finalmente Fauci».
Che cosa dovrebbe fare subito Biden per dare all’America un futuro radioso?
«Biden dovrebbe innanzitutto mettere in chiaro che la pandemia è un dossier drammatico e che ciascun americano deve averci a che fare sperando di non finirci dentro. Dovrebbe altresì rendere le mascherine obbligatorie e fornire delle direttive chiare su come le scuole e le imprese possano continuare le rispettive attività. Dovrebbe, infine, sviluppare un piano di distribuzione generale di vaccini, antivirali e test di massa, chiavi imprescindibili per fermare l’epidemia».
Come vede il nostro Paese da lì, dal suo laboratorio? Abbiamo sbagliato qualcosa? Dove?
«Il problema principale è che nessuno ha preso questa pandemia sul serio. Ad esempio, com’è stato fatto invece in Cina. Avremmo dovuto immediatamente vietare tutti i viaggi da e per la Cina (Trump effettivamente lo aveva proposto per primo, ma gli hanno dato del razzista). La ragione è molto semplice e nulla ha a che vedere con nessuna forma di discriminazione: tutto è cominciato da lì e tutto o quasi poteva essere fermato lì. Già dai tempi della SARS sapevamo che c’erano altri virus nei pipistrelli che ponevano dei rischi anche per la specie umana, ma nessuna compagnia se n’è occupata più di tanto perché si pensava che non ci fossero chissà quali profitti degni di nota all’orizzonte. Niente ricavi, niente soldi per la ricerca. Il mondo intero dovrebbe indignarsi di fronte a certe “logiche” di dare e avere, apoteosi della più totale assenza di visione di cui lo stesso mondo intero paga oggi lo scotto.
Il “modello Italia”?
Non esiste nessun modello Italia».
La domanda da un milione di dollari: quando finirà questo incubo?
«Personalmente non vedo la fine di questo incubo prima della fine del 2021. Il 2022 potrebbe essere il traguardo della nuova normalità. Fino ad allora, non viaggerò, non andrò al ristorante, non uscirò».