Quanto l’attività estorsiva legata a fenomeni di criminalità organizzata altera l’economia di un territorio? E soprattutto, quanto ne mina il tessuto sociale? Come si possono restituire alla legalità i territori dove i clan esercitano la loro influenza? L’analisi dei dati di una recente indagine sulla presenza di questi fenomeni in Campania aiuta a trovare possibili piste operative.
La ricerca sull’attività estorsiva in Campania curata dal sociologo napoletano Giacomo Di Gennaro (2015) 1, comprende per la prima volta tutte le Province della Regione ed è la seconda indagine che cerca le ragioni della persistenza e trasformazione di questo fenomeno secondo una prospettiva sociologica alla luce degli studi criminologici. In un precedente lavoro, realizzato sotto l’egida della Fondazione Rocco Chinnici 2, si presentavano i risultati di una ricerca sull’estorsione nelle due maggiori aree provinciali campane, Napoli e Caserta, analizzando la dimensione quantitativa del fenomeno, gli effetti sul tessuto economico e sociale, le criticità persistenti nella legislazione di contrasto.
Il testo curato da Di Gennaro, che si situa nel più ampio progetto del Programma operativo nazionale “Sicurezza per lo sviluppo – Obiettivo convergenza” 2007-2013 (Contrastare il racket delle estorsioni e dell’usura) ed è il risultato di una intesa collaborativa con la Federazione antiracket italiana (FAI), si caratterizza non solo per l’estensione territoriale dell’analisi statistica, ma anche per lo sviluppo e l’approfondimento dell’elaborazione interpretativa del fenomeno, attingendo a una scelta letteratura internazionale sulle organizzazioni criminali italiane e internazionali. Nello stesso tempo non solo si dà ragione dei costi individuali sopportati dalle vittime, ma si procede a stimare l’impatto delle attività illegali sull’economia dei singoli territori o di ripartizioni territoriali più ampie. Sono poi analizzati recenti studi di matrice economica – criticamente discussi in rapporto al contesto di ricerca – che stimano gli effetti distorsivi che il crimine organizzato produce sull’attività economica, alterando le dinamiche di mercato nei settori e territori coinvolti. Questi studi presentano la misura discriminante costituita dalla criminalità organizzata non solo nelle Regioni meridionali ma anche nelle Regioni centro-settentrionali del Paese e in ambito internazionale.
L’estorsione: un fenomeno dai molteplici volti
I risultati della ricerca di Di Gennaro confermano che l’attività estorsiva in Campania – che oscilla tra i due poli estremi dell’offerta di protezione mascherata e l’imposizione predatoria – si realizza in forme diverse: estorsione diretta con pizzo o tangente; mascherata quando si acquista un bene che non corrisponde al suo valore reale; estorsione allargata, ad esempio attraverso il pagamento di fatture alterate; estorsione celata sotto un’offerta di servizi, beni e prodotti; di fatto, si può affermare che il fenomeno si adatta alle diverse tipologie di attività economiche. Sul piano analitico si mette in evidenza che «C’è una correlazione che va delineandosi come sempre più stretta tra modello organizzativo del clan di camorra e tipologia di estorsione» (Di Gennaro 2015, p. 19), e che solo l’estorsione diretta trasversale a tutti i clan, anche se varia la sua temporalità.
Un altro aspetto importante per spiegare le diverse forme estorsive riguarda il ruolo delle vittime, che non è mai univoco. In genere c’è assoggettamento indotto da intimidazioni, paura di ritorsioni o di subire violenza. Ci sono vittime che non collaborano con le istituzioni giudiziarie perché colluse, in quanto traggono o hanno tratto vantaggi dal boss di turno. Altre considerano l’estorsione come un fatto “normale”, alimentando così un lento processo di “assuefazione” a questo modus operandi il cui costo viene interpretato come “costo ambientale” e traslato sul consumatore. Ci sono infine anche vittime che fin dall’inizio non chinano il capo di fronte alle pretese della camorra, si rivolgono alla magistratura, alle forze di polizia, si avvicinano alle associazioni antiracket e collaborano, perché sanno che se si cede una sola volta, il percorso diventa poi irreversibile.
Queste dinamiche sono state verificate nel contesto napoletano, dove si concentra il più alto volume di attività estorsiva, che non è dovuta solo alla violenza dei clan. A questo proposito entra in gioco anche la diversa definizione di ciò che è legale o illegale, con differenti sfumature e gradazioni, per cui un comportamento che in una determinata situazione è definito in termini non negoziabili, in un altro contesto diventa oggetto di interpretazione soggettiva e giustificazione. «Quel carattere apparentemente univoco delle norme – osserva Di Gennaro – si scolorisce e assume quella caratteristica che Gaymard ha definito di “condizionalità”, ovvero variazioni che si presentano sul piano fattuale, concreto e rendono possibili particolari comportamenti in quanto giustificati, sebbene contrari alle norme legali, in nome del contesto, delle pratiche diffuse, delle convenienze di turno. Ed è così che l’attività estorsiva non è più il risultato di una imposizione, di una estrazione predatoria, ma è capace anche di trovare consenso in vittime che più che adattarsi alle circostanze le trasformano in vantaggi personali» (ivi, p. 250).
L’estorsione genera consenso sociale anche negli strati marginali della società, perché i clan impongono l’occupazione di persone, offrono lavoro alla manodopera locale, distribuiscono opportunità lavorative tra quelle imprese con le quali stringono rapporti ambientali. È questo il filo interpretativo messo in rilievo fin dall’inizio dal sottotitolo del volume, Il controllo dello spazio sociale tra violenza e consenso, riferito al controllo esercitato dai clan camorristici sul territorio, inteso appunto come spazio sociale, attraverso le dinamiche dell’estorsione.
La fotografia dell’attività estorsiva
L’analisi e la riflessione condotte da Di Gennaro si sviluppano in due parti. La prima è dedicata a una discussione della dimensione teorica del fenomeno estorsivo: dalla spiegazione della sua origine, sviluppo e decadenza come forma illegale di primaria accumulazione di risorse economiche da parte dei clan, a come è essa cambiata nella transizione dalla camorra storica a quella contemporanea con il ruolo svolto dall’unità di base, i clan familiari in Campania; si tenta inoltre di fornire una stima della dimensione quantitativa dei fenomeni estorsivi a livello nazionale e regionale nell’arco di un decennio, con una serie di indicatori che collocano la Campania in posizioni apicali.
La seconda parte è invece dedicata all’andamento della delittuosità in Campania e nelle sue diverse Province, che va estendendosi a nuovi territori che non restano immuni, come le province di Salerno, Avellino e Benevento, tenendo conto anche di ciò che accomuna e di ciò che specifica le diverse zone.
Per la prima volta sono presentati i risultati dell’attività estorsiva nelle diverse aree di competenza territoriale dei Tribunali della Campania, che consentono un’analisi riguardante i singoli Comuni, rendendo sempre più precisa l’analisi statistica del fenomeno. Inoltre, basandosi sull’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia, sono riportati i dati sulla presenza dei clan nelle Province campane: 141 nell’intera Regione e 39 nella sola città di Napoli. Tra i dati presentati dalla ricerca a livello nazionale è interessante notare che nel periodo che va dal 2010 al 2013 vi è stato un incremento di quasi il 15% delle denunce riferite a estorsioni. Il dato non fotografa un effettivo aumento delle attività estorsive (pur essendo verosimile), ma certifica una crescita delle denunce, ossia della reazione da parte delle vittime alle attività criminali (cfr tab. 1). I dati mostrano, inoltre, che quasi il 50% delle denunce è concentrato nelle Regioni meridionali e insulari.
È un’indiretta conferma che le mafie fanno ricorso alle estorsioni come mezzo per esercitare il proprio potere sul territorio, anche se i fenomeni estorsivi non hanno come autori unicamente le organizzazioni di criminalità organizzata.
I dati raccolti danno vita a una mappa che permette di elaborare un Indice dell’attività estorsiva nelle diverse ripartizioni territoriali, che è di grande utilità per l’attività di contrasto sviluppata dalle associazioni antiracket. Il calcolo del tasso d’incidenza è ottenuto moltiplicando il rapporto tra denunce di estorsione e popolazione interessata (soggetti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni), residente nelle macroregioni individuate, per un numero fisso pari a 100mila abitanti.
Questa scelta permette di evitare le distorsioni dovute al diverso ammontare della popolazione quando si considerano solo i valori assoluti Nell’area sud-insulare si registra un tasso medio uguale a 17,8, un valore più alto rispetto a quello delle altre aree. Inoltre, negli anni presi in esame, il tasso dell’area sud-insulare è sempre superiore anche allo stesso tasso d’incidenza estorsiva nazionale.
L’esame dei dati regionali mostra, però, che la tradizionale lettura delle estorsioni come un fenomeno criminale tipicamente meridionale va rivista. Negli anni considerati, tra le prime cinque Regioni italiane per il numero di denunce vi sono, oltre a Campania, Sicilia e Puglia, la Lombardia e il Lazio. Da sole queste cinque Regioni costituiscono quasi il 60% delle denunce, un ulteriore segnale di una crescente presenza criminale nell’Italia settentrionale.
Dal punto di vista metodologico, l’analisi quantitativa del fenomeno estorsivo si è realizzata mediante la raccolta e l’elaborazione dei dati statistici relativi ai collaboratori di giustizia, ai delitti di estorsione denunciati, alle persone denunciate, agli autori e alle vittime di delitto in periodi determinati, al fine di consentire uno studio del fenomeno dal punto di vista sia statico sia dinamico. In tal modo è stato possibile evidenziare le trasformazioni che hanno interessato il fenomeno estorsivo in Italia e le differenze esistenti tra macroregioni territoriali, tra le Regioni e, in particolare per la Campania, tra le sue Province e i relativi capoluoghi.
La sicurezza, un bene essenziale da preservare
La valutazione sulla diffusione del fenomeno fa emergere la consapevolezza che quando si contrasta questa primaria forma di accumulazione illegale, si contrasta sul nascere non solo una modalità violenta di acquisire risorse economiche basilari per ulteriori traffici criminali e di esercitare il dominio in uno spazio sociale, ma si restituisce alle comunità locali il diritto alla sicurezza, condizione fondamentale per l’esercizio della libertà economica e degli altri diritti civili e sociali.
Riconoscere l’importanza della sicurezza ai fini dello sviluppo di una comunità pone l’interrogativo su chi è chiamato a operare perché questo fattore non sia frustrato e su come ciò possa avvenire. Merito della ricerca è mostrare che la sicurezza «non è una risorsa che può essere garantita dall’esclusiva azione degli apparati dell’ordine pubblico, del controllo sociale, del territorio. Né può essere circoscritta all’attività di prevenzione e contrasto operata dalle forze dell’ordine» (p. 302).
Alla sfera di competenza pubblica deve aggiungersi l’impegno del singolo di sottrarsi a comportamenti e logiche che finiscono con avallare l’illegalità. Ciò avviene, ad esempio, quando si agisce assumendo come un dato ineluttabile la presenza delle attività criminali o, addirittura, ci si rivolge a esse per assicurarsi benefici indebiti.
La posta in gioco è cruciale: vi è il rischio che un’assuefazione al fenomeno estorsivo, specialmente presso i ceti economicamente più sfavoriti, e il suo svolgimento in forme meno visibili determinino la derubricazione delle estorsioni da fenomeno criminale e talora violento a un evento illegale di minore gravità, se non di rilevanza solo morale. In un simile scenario gli “anticorpi” collettivi e la reazione sociale contro le estorsioni potrebbero essere compromessi, alimentando ancor di più una fuga dalla responsabilità civile. Di fronte a un fenomeno estorsivo che ha mutato pelle, mimetizzandosi e facendo proprie modalità di realizzazione nuove e diversificate secondo i profili delle vittime, la via da percorrere per contrastarlo è individuata in una rinnovata e responsabile partecipazione dei cittadini alle azioni volte al mantenimento e ripristino della sicurezza. Ciò si traduce, in concreto, in denuncia delle attività estorsive subite, organizzazione di strutture associative, costituzione di parte civile nei processi, sottrazione e confisca dei beni di quanti sono coinvolti nella rete criminale.