“Spero tutto il bene possibile per il Pd e la sua leadership. Una delle ragioni per cui la prima fase di Renzi mi aveva interessato è perché vedevo una sintonia su un tema di fondo: la costruzione di una
democrazia dell’alternanza; i governi decisi dai cittadini; la sfida riformista” dice Veltroni che delinea un quadro chiarissimo tra il prima e il dopo.
“Quando sono andato all’assemblea del Pd, cosa che non facevo da anni, ho detto: se si torna al proporzionale e ai governi fatti dai partiti, e magari si rifanno Ds e Margherita, non chiamatelo futuro; chiamatelo passato. Sono rimasto di questa idea. E sono molto preoccupato dal fatto che il mio Paese torni agli anni 80. È una svolta radicale, che rischia di accentuare drammaticamente l’impossibilità per l’Italia di conoscere il riformismo”.
Veltroni si dice “stupito”dalla svolta, ma non “tradito” e spiega che “questo sistema senza nessun premio di governabilità rappresenta un paradosso; mi pare una conclusione tragicomica per una legislatura che ha avuto tre governi diversi”.
Insomma la governabilità messa seriamente a rischio: “Ricordo quando Renzi diceva che la sera delle elezioni si deve sapere chi governerà. Ora faccio fatica a immaginare un Paese guidato da una delle due coalizioni che si possono formare”. E illustra le anomalie: “Lega e 5 Stelle: se Grillo avrà più voti del Pd, il primo incarico di governo spetterebbe a lui. Oppure Pd e Forza Italia: un’alleanza di governo innaturale”. Insomma “il proporzionale aggrava l’instabilità e i rischi di un attacco della speculazione finanziaria, che solo un governo stabile e riformista ci può consentire di evitare”.
Infine non riconosce l’accostamento con il sistema tedesco: “Non è il sistema tedesco. Non c’è la sfiducia costruttiva. Ci sono 5 anni di fibrillazione e lacerazioni interne ai partiti, che con il proporzionale si sentiranno liberi di fare tutto quel che vogliono. C’è il trionfo del trasformismo. Già in questa legislatura ci sono stati 491 cambi di casacca; si figuri nella prossima. Stavolta lo dico io: voglio un Paese in cui la sera delle elezioni si sappia chi ha vinto. E lo dicono anche Romano Prodi e Arturo Parisi. Per il Pd la costruzione di due schieramenti tra loro alternativi è la condizione della sua esistenza”.